Giacomo 1 – Una Fede Viva nelle Prove e nelle Tentazioni
A. Prove e sapienza.
1. (1) Saluto da parte di Giacomo.
Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo,
Alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.
a. Giacomo: Nel Nuovo Testamento abbiamo diversi uomini di nome Giacomo, ma secondo una tradizione attendibile questo libro viene assegnato all’uomo chiamato Giacomo il Giusto, fratellastro di Gesù (Matteo 13:55), fratello di Giuda (Giuda 1) e guida della chiesa di Gerusalemme (Atti 15:13).
i. Altri uomini di nome Giacomo menzionati nella Bibbia sono:
· Giacomo, fratello di Giovanni e figlio di Zebedeo, il primo apostolo martire, conosciuto anche come Giacomo il minore (Matteo 10:2, Marco 15:40, Atti 12:2).
· Giacomo, figlio di Alfeo, un altro dei dodici discepoli (Matteo 10:3).
· Giacomo, padre dell’“altro” Giuda apostolo (Luca 6:16).
ii. Inoltre, l’autore della lettera è lo stesso Giacomo a cui apparve in via speciale il Gesù risorto (1 Corinzi 15:7). Fu probabilmente questo l’evento che lo portò alla conversione, dato che fino a quel momento i fratelli di Gesù non sembravano aver appoggiato il Suo messaggio e la Sua missione (Giovanni 7:5).
iii. Dopo la sua conversione, cominciò a seguire Gesù con grande devozione. Un’antica storia della chiesa racconta che Giacomo era un tale uomo di preghiera da avere dei calli grandi e spessi sulle ginocchia, facendole somigliare alle ginocchia di un cammello. Dice anche che Giacomo morì come martire a Gerusalemme, spinto giù da un punto elevato del tempio. La caduta però non lo uccise e a terra fu picchiato a morte mentre pregava per i suoi aggressori.
b. Servo di Dio e del Signore Gesù Cristo: Sapere che questo Giacomo era il fratellastro di Gesù rende la sua autopresentazione ancora più significativa. Non si proclama “fratello di Gesù”, ma solo servo di Dio e del Signore Gesù Cristo. Per Giacomo, Gesù era più di un fratello, era soprattutto il suo Signore.
i. Servo è un termine importante che traduce l’antica parola greca doulos, che probabilmente viene resa più precisamente con schiavo. “Uno schiavo, un servo, qualcuno che ha un rapporto permanente di servitù con un altro… Tra i greci, con il loro forte senso di libertà personale, il termine aveva una connotazione degradante.” (Hiebert)
ii. Anche Signore è una parola importante. Traduce l’antica parola greca kurios, che indicava semplicemente il padrone di un doulos, e nel contesto ci fa capire che Giacomo considerava Gesù Dio. “Gli ebrei ellenici usavano Kurios come nome di Dio; il mancato uso dell’articolo acquista significato quando si ricorda che o Kurios, ‘Dominus’, era un titolo dato ai primi imperatori romani per esprimere la loro divinità.” (Oesterley nell’Espositore)
c. Alle dodici tribù: È difficile capire cosa Giacomo abbia voluto intendere con il suo riferimento alle dodici tribù. La domanda è se Giacomo abbia scritto la lettera solo ai cristiani di origine ebraica o a tutti i cristiani. Benché essa si applichi certamente a tutti i credenti, Giacomo la scrisse probabilmente prima che i Gentili entrassero a far parte della chiesa, o almeno prima che i cristiani gentili apparissero in numero significativo.
i. Le dodici tribù è una figura retorica ebraica usata a volte per indicare l’intero popolo d’Israele (Matteo 19:28). Paolo menziona le nostre dodici tribù nel suo discorso davanti al re Agrippa (Atti 26:7). Il concetto delle “dodici tribù” tra gli Israeliti era ancora forte, sebbene non vivessero più nelle loro assegnazioni tribali da secoli.
ii. In Galati 2:8-9 Paolo descrive alcuni degli apostoli del I secolo come appartenenti all’apostolato dei circoncisi; vale a dire che essi svolgevano il loro ministero principalmente verso le pecore smarrite d’Israele, proprio come menzionato da Gesù in Matteo 10:6 e 15:24. Poiché nel medesimo contesto Paolo nomina lo stesso Giacomo, è giusto considerare anche lui come parte dell’apostolato dei circoncisi.
iii. Che sono disperse nel mondo: A quel tempo il popolo ebraico era sparso in tutto il mondo e i cristiani erano presenti nella maggior parte delle sue comunità. Riguardo all’entità della dispersione, Giuseppe Flavio scrisse: “Non c’è città né tribù, greca o barbara che sia, in cui la legge e le usanze ebraiche non abbiano messo radici.” (Citato in Barclay)
iv. Poiché la lettera fu scritta per tutti i cristiani del tempo, essa è rivolta anche a noi oggi. C’è chi pensa che il libro di Giacomo non sia importante per i cristiani, con alcuni che citano la famosa valutazione di Martin Lutero, che la definì “un’epistola di paglia”. L’osservazione di Lutero, tuttavia, va intesa nel suo contesto. A volte egli era preso dalla frustrazione, perché coloro che volevano promuovere la salvezza per opere citavano alcuni versetti di Giacomo contro di lui. La sua intenzione era osservare che c’era poco o niente in Giacomo che predicasse il vangelo della giustificazione per fede soltanto. Altrove Lutero scrisse riguardo a Giacomo: “Stimo molto l’epistola di Giacomo e la considero preziosa… Non espone dottrine umane, ma pone molta enfasi sulla legge di Dio.” (Citato in Barclay)
v. Martin Lutero conosceva e insegnava esattamente ciò che insegna la lettera di Giacomo. Quanto segue è tratto dalla sua prefazione ai Romani riguardo alla fede salvifica: Oh, questa fede è una cosa vivente, potente e attivamente all’opera. È impossibile che non faccia costantemente cose buone. Non chiede se si debbano fare opere buone, ma prima che si ponga la domanda, le ha già fatte e le fa continuamente. Chi non fa tali opere, tuttavia, è un miscredente. Va a tastoni alla ricerca della fede e delle buone opere, ma non sa cosa siano né l’una né le altre. Eppure, parla e parla con molte parole di fede e di buone opere.(Citato in Moo)
vi. Da più punti di vista, diamo ascolto alla lettera di Giacomo perché è un’eco degli insegnamenti di Gesù. In essa ci sono almeno quindici allusioni al Sermone sul Monte. Questa lettera è stata scritta da un uomo che conosceva gli insegnamenti di Gesù e li prendeva sul serio.
d. Salute: Il saluto Salute era il modo abituale greco di aprire una lettera. Paolo non lo usa mai, ma preferisce salutare i suoi lettori con le parole grazia e pace. Qui Giacomo adotta il saluto più consueto.
2. (2-4) Costanza nelle prove.
Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate di fronte a prove di vario genere, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza. E la costanza compia in voi un’opera perfetta, affinché siate perfetti e completi, in nulla mancanti.
a. Considerate una grande gioia… quando vi trovate di fronte a prove di vario genere: Giacomo considera le prove inevitabili. Infatti, dice quando e non se vi trovate di fronte a prove di vario genere. Allo stesso tempo, le prove sono occasioni di gioia, non di scoraggiamento e rassegnazione. Possiamo considerare una grande gioia quando ci troviamo in mezzo alle prove, perché queste servono a produrre costanza.
i. Moffatt traduce Giacomo 1:2 con Salutate come pura gioia, indicando un gioco di parole tra il Salute alla fine di Giacomo 1:1 e una parola simile usata all’inizio di Giacomo 1:2. È “un tentativo di far emergere il gioco di parole nell’originale, dove il cortese chairein (salute) è echeggiato da charan (gioia)”.
ii. La vecchia Versione di Re Giacomo (KJV) legge quando cadete in diverse tentazioni, anche se è preferibile la traduzione prove nella Nuova Versione di Re Giacomo (NKJV). La parola tradotta con prove “significa afflizione, persecuzione o prova di qualsiasi tipo; ed è in questo senso che si usa qui, non intendendo suggestione diabolica o ciò che generalmente si intende con la parola tentazione.” (Clarke)
iii. Quando vi trovate di fronte: “Non quando ci arrivate per gradi, ma all’improvviso, quando siete immersi… Quando siete così circondati da non avere via di scampo, quando siete angustiati come lo era Davide, Salmi 116:3.” (Trapp)
iv. Costanza è l’antica parola greca hupomone, la quale non descrive un’attesa passiva ma una sopportazione attiva. Non è tanto la qualità che aiuta a stare seduti tranquillamente nella sala d’attesa del dottore, quanto quella che aiuta a finire una maratona.
v. L’antica parola greca hupomone deriva da hupo (sotto) e meno (rimanere, dimorare, restare). Letteralmente significa restare sotto. Dà l’immagine di qualcuno sotto un carico pesante e che sceglie di rimanere lì invece di cercare di liberarsene. Il filosofo Filone definì hupomone “la regina delle virtù” (Citato in Hiebert). Il commentatore di greco Oesterley descrisse la parola costanza come “lo stato d’animo che resiste”.
b. Sapendo che la prova della vostra fede produce costanza: La fede è testata mediante le prove, non prodotta dalle prove. Le prove rivelano la fede che abbiamo, non perché Dio non sappia quanta ne abbiamo, ma perché la nostra fede sia evidente a noi stessi e a chi ci circonda.
i. Notiamo che a essere messa alla prova è la fede, fatto che ne dimostra l’importanza e la preziosità – perché solo le cose preziose vengono provate così a fondo. “La fede è vitale per la salvezza come il cuore è vitale per il corpo; è per questo motivo che i giavellotti del nemico sono rivolti principalmente a questa grazia essenziale.” (Spurgeon)
ii. Se le prove non producono la fede, che cosa la produce? Romani 10:17 ci dice: La fede dunque viene dall’udire, e l’udire viene dalla parola di Dio. In modo soprannaturale, la fede si costruisce in noi quando ascoltiamo, comprendiamo e confidiamo nella parola di Dio.
iii. Poiché Giacomo non vuole che nessuno pensi che Dio mandi le prove per abbattere o distruggere la nostra fede, tornerà più avanti sull’argomento in Giacomo 1:13-18.
c. Produce costanza: Le prove non produco fede, ma, quando le prove vengono ricevute con fede, ciò produce costanza. Eppure, la costanza non si produce inevitabilmente nei momenti di prova. Se le difficoltà vengono accolte con incredulità e mugugno, le prove possono produrre invece amarezza e scoraggiamento. Questo è il motivo per cui Giacomo ci esorta a considerarla una grande gioia. Considerarla una grande gioia è la risposta della fede a un tempo di prova.
i. “Di tanto in tanto si afferma che Giacomo chiede ai suoi lettori di godere delle loro prove… Non dice però che devono percepirle come una grande gioia o che le prove sono tutte gioia.” (Hiebert)
d. E la costanza compia in voi un’opera perfetta, affinché siate perfetti e completi, in nulla mancanti: L’opera della costanza accompagnata dalla pazienza cresce lentamente e le si deve permettere di giungere a piena fioritura. La costanza è un segno di quelli che sono perfetti e completi, in nulla mancanti.
i. “La costanza deve andare di pari passo con l’afflizione. Se il ponte si ferma a metà del ruscello, l’attraversamento sarà difficoltoso. Il desiderio del diavolo è quello di metterci fretta.” (Trapp)
ii. “Queste espressioni, nella loro applicazione attuale, per alcuni sono prese dai giochi greci: l’uomo era considerato perfetto all’ottenimento della vittoria in una delle discipline atletiche; era considerato intero, completo in ogni cosa, al conseguimento della vittoria nel pentathlon, in ciascuna delle cinque discipline.” (Clarke)
iii. Altri pensano che i termini provengano dal mondo dei sacrifici, dove solo un animale sacrificale giudicato perfetto e completo, in nulla mancante, era potenzialmente idoneo a essere offerto a Dio. Significava che l’animale era stato testato e approvato.
iv. “La tendenza naturale delle prove non è santificare, ma indurre al peccato. Un uomo è molto incline a diventare incredulo nell’afflizione: questo è un peccato. È incline a mormorare in essa contro Dio: questo è un peccato. È incline a escogitare un modo malsano per sfuggire alle sue difficoltà: anche questo è peccato. Perciò, ci viene insegnato a pregare in questo modo: ‘Non ci indurre in tentazione; perché la prova ha in sé una certa dose di tentazione’; e se questa non fosse neutralizzata da grazia abbondante, ci trascinerebbe al peccato.” (Spurgeon)
v. Tuttavia, le prove possono rivelarsi un’opera meravigliosa di Dio in noi. “Ho guardato indietro ai momenti di prova con una sorta di nostalgia, non per vederli tornare, ma per sentire la forza di Dio come l’ho sentita allora, per sentire la potenza della fede come l’ho sentita allora, per aggrapparmi al potente braccio di Dio come mi sono aggrappato allora e vedere Dio all’opera come l’ho visto allora.” (Spurgeon)
3. (5-8) Come ricevere da Dio la sapienza necessaria.
Ma se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberamente senza rimproverare, e gli sarà data. Ma la chieda con fede senza dubitare, perché chi dubita è simile all’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Non pensi infatti un tal uomo di ricevere qualcosa dal Signore, perché è un uomo dal cuore doppio, instabile in tutte le sue vie.
a. Ma se qualcuno di voi manca di sapienza: Le prove portano dei periodi in cui diventa necessario ricercare la sapienza di Dio. Spesso non sappiamo di aver bisogno di sapienza se non all’arrivo delle difficoltà. Una volta giunto il momento di prova, abbiamo bisogno di sapere se quella prova in particolare è qualcosa che Dio vuole che eliminiamo per fede o in cui vuole che perseveriamo per fede. Ciò richiede sapienza.
i. Nelle prove abbiamo bisogno di sapienza molto più di quanto abbiamo bisogno di conoscenza. La conoscenza è un’informazione grezza, ma la sapienza sa come usarla. Qualcuno una volta ha detto che la conoscenza è la capacità di smontare le cose, ma la sapienza è la capacità di metterle insieme.
b. La chieda a Dio: Per ricevere sapienza, chiediamo semplicemente a Dio, che dona sapienza generosamente (liberamente) e senza disprezzare la nostra richiesta (senza rimproverare).
i. “Siamo tutti così pronti ad andare ai libri, agli uomini, alle cerimonie, a tutto tranne che a Dio… Infatti, il testo non dice: ‘La chieda ai libri’ né ‘la chieda ai ministri’, bensì ‘la chieda a Dio’.” (Spurgeon)
ii. Dio dà davvero liberamente. “Egli dà secondo l’eccellenza della Sua grandezza; un po’ come il dono di una città che Alessandro Magno fece a un povero: dopo che questi l’ebbe rifiutato con modestia perché troppo grande per lui, Alessandro rispose: Non quaero quid te accipere deceat, sed quid me dare, La questione non è ciò che sei degno tu di ricevere, ma ciò che conviene a me dare.” (Trapp)
iii. Senza rimproverare: “Espressione che viene aggiunta per evitare che qualcuno abbia paura di rivolgersi troppo spesso a Dio… perché Egli è sempre pronto ad aggiungere nuove benedizioni alle precedenti, senza fine né limiti” (Calvino). Conoscere la generosità di Dio, che non ci disprezza né si risente mai perché gli abbiamo chiesto sapienza, dovrebbe incoraggiarci a chiedergliela più spesso. Siamo consapevoli che Egli è il Dio della mano aperta, non il Dio del pugno serrato.
iv. Quando vogliamo la sapienza, il punto di inizio e di fine è la Bibbia. La vera sapienza sarà sempre coerente con la Parola di Dio.
v. Il linguaggio qui implica l’umiltà nell’accostarsi a Dio. “Non dice: ‘La compri da Dio, la pretenda da Dio, la guadagni da Dio’. Oh, no! Anzi, ‘la chieda a Dio’. È la parola del mendicante. Il mendicante chiede l’elemosina. Devi chiedere come ti chiede il mendicante per strada e Dio ti darà molto più generosamente di quanto tu dia ai poveri. Devi confessare di non avere meriti tuoi.” (Spurgeon)
c. Ma la chieda con fede: La nostra richiesta di sapienza deve essere fatta come qualsiasi altra richiesta: con fede, senza dubitare della capacità o del desiderio di Dio di donarci la Sua sapienza.
i. Notiamo che non solo si deve venire con fede, ma si deve anche chiedere con fede; ed è qui che le preghiere di molti falliscono. “Sapete, cari amici, che c’è un modo di pregare in cui si chiede il nulla e lo si ottiene”. (Spurgeon)
d. Senza dubitare… Non pensi infatti un tal uomo di ricevere qualcosa dal Signore: Chi dubita e manca di fede non deve aspettarsi di ricevere qualcosa dal Signore. Tale mancanza di fede e di fiducia in Dio mostra anche che non abbiamo alcun fondamento, essendo instabili in tutte le nostre vie.
i. Simile all’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là: “L’uomo che non è del tutto convinto di ricevere ciò che chiede a Dio somiglia a un’onda del mare; è in uno stato di continua agitazione, sospinto dal vento e sballottato: ora sorge dalla speranza, poi sprofonda nella disperazione.” (Clarke)
ii. L’onda del mare è una descrizione appropriata di chi è ostacolato dall’incredulità e da dubbi inutili:
· L’onda del mare è senza riposo, e così è colui che dubita.
· L’onda del mare è instabile, e così è colui che dubita.
· L’onda del mare è spinta dai venti, e così è colui che dubita.
· L’onda del mare è capace di grande distruzione, e così è colui che dubita.
e. Un uomo del cuore doppio, instabile in tutte le sue vie: Chiedere a Dio dubitando indica che abbiamo un cuore doppio. Se non avessimo fede, non chiederemmo affatto. Se non avessimo incredulità, chiederemmo senza dubitare. Essere nella via di mezzo tra fede e incredulità significa avere un cuore doppio.
i. Secondo Hiebert, cuore doppio significa letteralmente dalla doppia anima. “È l’uomo dalle due anime, che ne ha una per la terra e l’altra per il cielo, che desidera assicurarsi entrambi i mondi; non abbandonerà la terra e non vuole lasciare andare il cielo.” (Clarke)
ii. L’uomo che disse a Gesù: “Io credo Signore, sovvieni alla mia incredulità” (Marco 9:24) non aveva un cuore doppio. Voleva credere e dichiarò la propria fede. La sua fede era debole, ma non era inficiata da un dubbio dal cuore doppio.
iii. “Credi che Dio possa darti sapienza e che lo farà se glielo chiedi? Allora, va’ subito da Lui e digli: ‘Signore, questo è ciò di cui ho bisogno’. Specifica i tuoi bisogni, dichiara la tua esatta condizione, presenta l’intera questione davanti a Dio con precisione, come se stessi raccontando la tua storia ad un amico intelligente pronto ad ascoltarla e ad aiutarti; poi di’: ‘Signore, questo è esattamente quello che penso di volere e te lo chiedo, credendo che tu sei in grado di darmelo’.” (Spurgeon)
4. (9-11) Incoraggiamento per chi è colpito dalle prove.
Or il fratello di umili condizioni si glori della sua elevazione, e il ricco del suo abbassamento, perché passerà come un fiore di erba. Infatti, come si leva il sole col suo calore ardente e fa seccare l’erba, e il suo fiore cade e la bellezza del suo aspetto perisce, così anche il ricco appassirà nelle sue imprese.
a. Or il fratello di umili condizioni si glori della sua elevazione: Come è appropriato che gli umili si rallegrino quando sono innalzati da Dio, così è appropriato (anche se molto più difficile) che i grandi (iricchi) si rallegrino quando sono portati all’umiliazione (abbassamento) dalle prove.
i. “Come il fratello povero dimentica tutta la sua povertà terrena, così il fratello ricco dimentica tutte le sue ricchezze terrene. Per fede, in Cristo, i due sono uguali.” (Lenski, citato da Hiebert)
ii. Sebbene il passo ci faccia comprendere che la relativa povertà e ricchezza sono prove di una fede viva che il cristiano si trova ad affrontare, sembra comunque che Giacomo cambi improvvisamente argomento, passando dalle prove e dalla sapienza alla ricchezza e all’umiltà. In un certo qual modo, la lettera di Giacomo somiglia al libro dei Proverbi o al resto della letteratura sapienziale dell’Antico Testamento, saltando da un argomento all’altro per poi tornare a uno dei temi precedenti.
b. Perché passerà come un fiore di erba: Le prove servono a ricordare ai ricchi e ai grandi che, sebbene siano a proprio agio in questa vita, è comunque solo in questa vita, che svanisce come l’erba che si secca e come il fiore che appassisce.
i. Nella terra d’Israele ci sono molti tipi di fiori stupendi che prendono vita quando arrivano le piogge, ma appassiscono poco dopo. Nella prospettiva dell’eternità, è questa la rapidità con cui anche il ricco appassirà nelle sue imprese.
ii. Le ricchezze di questo mondo certamente appassiranno, ma Giacomo dice che anche il ricco appassirà. Se mettiamo la nostra vita e la nostra identità in cose che appassiscono, anche noi appassiremo. Quanto sarebbe meglio mettere la nostra vita e la nostra identità in cose che non appassiranno mai! Se un uomo è ricco solo in questo mondo, quando muore, lascia le sue ricchezze. Ma se un uomo è ricco davanti a Dio, quando muore, va incontro alle sue ricchezze.
B. Vivere per il Signore nei momenti di tentazione.
1. (12) Benedizione per coloro che sopportano la tentazione.
Beato l’uomo che persevera nella prova, perché, uscendone approvato, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a coloro che l’amano.
a. Beato l’uomo: Ci sembra di sentire una delle Beatitudini di Gesù del Sermone sul Monte (Matteo 5:1-2). Nelle sue grandi dichiarazioni di benedizione, Gesù non ci rivela gli unici modi in cui possiamo essere beati. Qui scopriamo che possiamo essere beati anchementre sopportiamo la prova.
i. Non dice: “Beato l’uomo che non è mai tentato”, né: “Beato l’uomo che con facilità vince ogni prova”. Piuttosto, la promessa di beatitudine è data a chi persevera nella prova. C’è un dono speciale di beatitudine da parte di Dio a colui che sa dire “no” alla prova, dicendo in questo modo “sì” a Dio.
b. Perché, uscendone approvato: Qui Giacomo afferma lo scopo che Dio ha nel permettere la prova. Il fine è quello di approvarci affinché attraverso la prova ci venga rivelata la genuinità e la forza della nostra fede.
c. Che persevera nella prova: La tentazione (prova) è una delle prove svariate (Giacomo 1:2 NR) che affrontiamo. Perseverando in essa, veniamo approvati e saremo ricompensati, perché l’opera di Dio in noi sarà evidente mediante la nostra resistenza alla tentazione.
d. La corona della vita, che il Signore ha promesso: Giacomo ci ricorda che vale davvero la pena sopportare le prove in cui veniamo a trovarci. La nostra fermezza sarà ricompensata se dimostriamo il nostro amore per Gesù (a coloro che l’amano) resistendo alla prova.
i. “C’è una corona in serbo per me… perciò, mi cingerò i lombi e accelererò il passo, perché la corona è davvero sicura per coloro che corrono con pazienza.” (Spurgeon)
e. A coloro che l’amano: Questo è il motivo per cui resistiamo alla prova, il nostro amore per Dio. Le passioni delle tentazioni peccaminose possono essere realmente superate solo da una passione più grande, una passione per l’onore, la gloria e una relazione con Dio.
i. Alcuni resistono alla tentazione per paura dell’uomo. Il ladro diventa improvvisamente onesto quando vede un poliziotto. L’uomo o la donna controllano la propria lussuria, non sopportando l’idea di essere scoperti e quindi svergognati. Altri resistono alla tentazione di un peccato a causa del potere di un altro peccato. L’avaro rinuncia alle feste, perché non vuole spendere i propri soldi. Eppure, il miglior motivo per resistere alla tentazione è amarlo; amarlocon più forza e più passione del proprio amore per il peccato.
ii. “Coloro che sopportano la prova nel modo giusto, la sopportano perché amano Dio. Dicono a sé stessi: ‘Come potrei commettere una tale malvagità e peccare contro Dio?’ Non possono cadere nel peccato, perché ciò addolorerebbe colui che li ama così tanto e che loro stessi amano con tutto il cuore.” (Spurgeon)
2. (13-16) Come arriva e come funziona la prova.
Nessuno, quando è tentato dica: «Io sono tentato da Dio», perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno. Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e adescato dalla propria concupiscenza. Poi, quando la concupiscenza ha concepito, partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato, genera la morte. Non lasciatevi ingannare, fratelli miei carissimi.
a. Nessuno, quando è tentato dica: «Io sono tentato da Dio»: La tentazione non viene da Dio e, pur permettendola, non è Lui ad attirarci al male. Sebbene Dio possa mettere alla prova la nostra fede, Egli non ci istiga a commettere il male (egli stesso non tenta nessuno).
i. Giacomo sapeva che la maggior parte delle persone ha una tendenza malvagia a incolpare Dio quando si trova nelle prove. Tuttavia, per Sua stessa natura, Dio né è in grado di essere tentato (nel modo in cui noi veniamo tentati, come spiegherà Giacomo) né Egli stesso… tenta nessuno.
ii. “Ci mostra la grande causa del peccato, cioè che la concupiscenza gioca un ruolo maggiore sia del diavolo che dei suoi strumenti, che non possono farci peccare contro la nostra volontà; a volte tentano, ma non prevalgono.” (Poole)
iii. Dio a volte permette che grandi prove colpiscano il Suo popolo, persino coloro che vengono considerati i Suoi preferiti. Ci tornano in mente il duro comando che diede ad Abrahamo (Genesi 22:1) e l’afflizione che permise nella vita di Giobbe (Giobbe 1-2). Altre volte può inviare prove sotto forma di giudizio su coloro che Lo hanno rifiutato, per esempio mandando uno spirito d’inganno (1 Re 22:19-23) o allontanandosi da un uomo e rifiutando di rispondergli (1 Samuele 28:15-16). Eppure, in nessun caso Dio induce una persona al male.
iv. “Satana tenta; Dio mette alla prova. Ma la stessa prova può essere sia una tentazione che una prova; può essere una prova da parte di Dio e una tentazione da parte di Satana, proprio come Giobbe soffrì per mano di Satana, e fu per lui una tentazione; soffrì però anche per mano di Dio per mezzo di Satana, e per lui fu così una prova.” (Spurgeon)
b. Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e adescato dalla propria concupiscenza: Dio non ci tenta. Invece, la tentazione arriva quando siamo trascinati dalla nostra concupiscenza carnale e adescati, un adescamento fornito dal mondo e dal diavolo.
i. Trascinato: “Potrebbe essere una metafora presa dall’immagine di un pesce allettato e attirato da un’esca o, ancora meglio, dall’immagine di una meretrice che fa deviare dalla retta via un giovane e lo seduce con l’esca del piacere a commettere una follia insieme a lei.” (Poole)
ii. Satana certamente ci tenta, ma l’unica ragione per cui la tentazione fa presa su di noi è a causa della nostra stessa natura decaduta, che corrompe i desideri (concupiscenza) donatici da Dio. Spesso diamo troppo credito a Satana per i suoi poteri di tentazione, senza renderci conto che siamo trascinati dalla nostra stessa concupiscenza (desideri). Praticamente, sembra come se alcuni supplicassero Satana di tentarli.
iii. Alcuni di coloro a cui piace sottolineare la sovranità di Dio dicono che Dio è responsabile di tutte le cose – però non è certo Lui il responsabile del peccato dell’uomo. Nel suo commento a questo testo, lo stesso Giovanni Calvino scrisse: “Quando la Scrittura attribuisce a Dio la cecità o la durezza di cuore, non Gli addita l’inizio della cecità né Lo dipinge come l’autore del peccato, come se la colpa fosse la Sua”. Calvino scrisse inoltre: “La Scrittura afferma che i dissoluti vengono lasciati in balia di bramosie perverse; è perché il Signore perverte e corrompe i loro cuori? Assolutamente no, anzi i loro cuori sono soggetti a bramosie depravate, proprio perché sono già corrotti e malvagi”.
c. Quando la concupiscenza ha concepito, partorisce il peccato: Ciò che scaturisce dalla concupiscenza (desidericorrotti) è il peccato. Ciò che scaturisce dal peccato è la morte. Questa progressione verso la morte è un risultato inevitabile che Satana cerca sempre di tenerci nascosto, ma riguardo al quale non dovremmo mai lasciarci ingannare.
i. “Giacomo rappresenta la concupiscenza degli uomini come una meretrice, che attira la loro comprensione e la loro volontà nei suoi abbracci impuri e dalla cui relazione viene concepito il peccato. Il peccato, una volta generato, agisce immediatamente e si nutre delle costanti ricadute, finché alla fine acquista una forza tale che a sua volta genera la morte. Questa è l’esatta genealogia del peccato e della morte.” (Clarke)
d. Non lasciatevi ingannare, fratelli miei carissimi: La grande strategia di Satana nella tentazione è convincerci che il perseguimento dei nostri desideri corrotti produrrà per noi in qualche modo vita e bontà. Se ricordiamo che Satana viene solo per rubare, uccidere e distruggere (Giovanni 10:10), allora possiamo resistere più efficacemente agli inganni della tentazione.
3. (17-18) La bontà di Dio è in contrasto con le tentazioni che affrontiamo.
Ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento né ombra di rivolgimento. Egli ci ha generati di sua volontà mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature.
a. Ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall’alto: Non ci aspettiamo bontà vera dalla nostra natura corrotta né da coloro che vorrebbero sedurci. Ma ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono da Dio Padre, che è nei cieli.
i. Naturalmente, la bontà ultima di ogni dono deve essere misurata su una scala eterna. Qualcosa che può sembrare solo buono (come vincere soldi alla lotteria) può in realtà poi tradursi nella nostra distruzione.
b. Presso il quale non vi è mutamento né ombra di rivolgimento: La bontà di Dio è costante. Non vi è mutamento presso di Lui. Invece delle ombre, Dio è il Padre dei lumi.
i. Secondo Hiebert, la presenza nel greco dell’articolo determinativo prima di lumi indica che lumi si riferisce specificamente ai corpi celesti che illuminano il cielo sia di giorno che di notte. Il sole e le stelle non smettono mai di emanare luce, anche quando non possiamo vederli. Lo stesso accade con Dio: non c’è mai alcuna ombra in Lui. Quando arriva la notte, l’oscurità non è colpa del sole, il cui splendore non cambia mai, ma, poiché la terra ruota su sé stessa, sopraggiungono le tenebre.
ii. Ciò significa che Dio non cambia mai. Tra i teologi moderni, ce ne sono alcuni che sono seguaci della cosiddetta teologia del processo, secondo la quale Dio stesso starebbe “maturando” e “crescendo”, sarebbe “in lavorazione”. La Bibbia però dice che non vi è mutamento né ombra di rivolgimento presso Dio.
c. Egli ci ha generati di sua volontà mediante la parola di verità: Giacomo sa che il dono della salvezza viene dato da Dio e non si guadagna mediante le opere o l’obbedienza dell’uomo. Egli ci ha generati di sua volontà per la salvezza.
i. Egli ci ha generati: “L’espressione significa propriamente: Egli ha svolto il compito di una madre verso di noi, portandoci alla luce della vita.” (Trapp)
ii. “In linea di massima, gli uomini generosi hanno bisogno di essere incentivati alla loro generosità: si dovrà aspettare, si dovranno lanciare appelli, a volte si dovrà fare pressione, si dovrà dare loro un esempio. Ma Dio “di sua volontà” ha fatto per noi tutto quello che è stato fatto, senza alcun incentivo o suggerimento, mosso solo da sé stesso, perché si compiace della misericordia; perché il Suo nome e la Sua natura sono amore, perché sempre, come il sole, Gli è naturale diffondere i raggi della Sua grazia eterna.” (Spurgeon)
d. Affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature: È possibile vedere la bontà di Dio nella nostra salvezza, perché Lui l’ha innescata di sua volontà e ci ha generati alla vita spirituale mediante la Sua parola di verità, affinché fossimo come le primizie del Suo raccolto alla gloria Sua.
i. Nei versetti precedenti Giacomo ci ha parlato delle conseguenze della concupiscenza dell’uomo: il peccato e la morte. Qui ci parla del frutto della volontà del buon Dio: la salvezza per noi, in certo modo le primizie delle sue creature.
ii. È probabile che Giacomo faccia riferimento alla sua stessa generazione di credenti quando li chiama primizie, dal momento che si rivolge soprattutto a cristiani di origine giudaica. Poiché questi erano primizie (Deuteronomio 26:1-4), lascia intendere che Giacomo si aspettava un successivo e maggiore raccolto di cristiani fra i gentili.
iii. Alcuni hanno speculato ancora di più sul concetto di primizie delle sue creature (forse esagerando), affermando che Giacomo aveva in mente una redenzione più ampia tra creature di Dio sconosciute, redenzione di cui noi saremmo le primizie.
4. (19-20) Rimanere saldi contro l’ira ingiusta.
Perciò, fratelli miei carissimi, sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non promuove la giustizia di Dio.
a. Sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira: Si può imparare a essere lenti all’ira apprendendo innanzitutto ad essere pronti ad ascoltare e lenti a parlare. Gran parte della nostra rabbia e della nostra ira deriva da un atteggiamento egocentrico e non altruistico. L’essere pronto ad ascoltare è un modo per mettere gli altri al centro. L’essere lento a parlare è un modo per mettere gli altri al centro.
i. “Eppure, la natura non ci insegna forse ciò che ci insegna qui l’apostolo, avendoci dato due orecchie, che sono aperte, e una sola lingua, confinata dietro i denti e le labbra?” (Trapp)
b. Lento all’ira, perché l’ira dell’uomo non promuove la giustizia di Dio: Alla luce della natura della tentazione e della bontà di Dio, dobbiamo prestare particolare attenzione a essere lenti all’ira, perché la nostra ira non promuove la giustizia di Dio, anzi si limita quasi sempre a difendere o a promuovere i nostri interessi.
5. (21) Rimanere saldi contro le concupiscenze della carne.
Perciò, deposta ogni lordura e residuo di malizia, ricevete con mansuetudine la parola piantata in voi, la quale può salvare le anime vostre.
a. Ogni lordura e residuo di malizia: Questa espressione fa riferimento a un modo di vivere impuro. Alla luce della natura della tentazione e della bontà di Dio, dobbiamo deporre ogni impurità, allontanandola da noi.
i. Ogni lordura: “La fetida sozzura di un’ulcera pestilente. Il peccato è il vomito del diavolo, l’escremento dell’anima, il superfluo o l’immondizia della cattiveria (malizia)… come viene chiamato qui con un’allusione agli scarti dei sacrifici gettati nel torrente Kedron, cioè nel fossato della città.” (Trapp)
ii. La vecchia versione della Bibbia di Re Giacomo (KJV) traduce la locuzione residuo di malizia con superfluità di cattiveria.
b. Ricevete con mansuetudine la parola piantata in voi: Al posto di un modo di vivere impuro, riceviamo la parola piantata di Dio (facendolocon mansuetudine, un cuore ammaestrabile). Questa parola ci può salvare sia nella nostra situazione attuale che per l’eternità. La purezza della Parola di Dio può preservarci anche in un’epoca impura.
i. “La prima cosa, quindi, è ricevere. “Ricevere” è una parola evangelica (relativa al Vangelo) molto istruttiva: è la porta attraverso cui entra in noi la grazia di Dio. Non siamo salvati mediante le opere, ma ricevendo; non per ciò che diamo a Dio, ma per ciò che Dio dà a noi e che noi riceviamo da Lui.” (Spurgeon)
ii. Qui Giacomo allude alla potenza spirituale della Parola di Dio. Quando viene piantata nel cuore umano, può salvare le anime vostre. La parola di Dio porta con sé la potenza di Dio.
6. (22-25) Come ricevere la Parola di Dio.
E siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi. Poiché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com’era. Ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare.
a. E siate facitori della parola e non uditori soltanto: Dobbiamo ricevere la Parola di Dio come facitori, non semplicemente come uditori. Se traiamo conforto dal fatto che abbiamo ascoltato la Parola di Dio senzaaverla messa in pratica,inganniamo noi stessi.
i. Era comune nel mondo antico che le persone ascoltassero un insegnante. Chi seguiva un maestro e cercava di vivere secondo ciò che diceva, era chiamato discepolo di quel maestro. Possiamo dire che Gesù cerca tali discepoli: facitori, non meri uditori.
ii. Gesù usò questo stesso concetto per concludere il Suo grande Sermone sul Monte. Disse che chi ascolta la Parola senza metterla in pratica è come un uomo che ha costruito la propria casa sulla sabbia; al contrario, chi ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica è come un uomo la cui casa è costruita sulla roccia. Colui che ascolta e mette in pratica la parola di Dio può resistere alle inevitabili tempeste della vita e al giudizio dell’eternità (Matteo 7:24-27).
iii. “Un insegnante o un predicatore può fare un discorso eloquente sul Vangelo o spiegare abilmente qualche profezia dell’Antico Testamento riguardante Cristo, ma, quando il sermone è finito, non è veramente finito; qualcosa resta da fare da parte degli ascoltatori, i quali, se si accontentano di un mero stupore sentimentale o di un appagamento emotivo o mentale, non devono pensare che si tratti di religione.” (Moffatt)
iv. “Temo che ce ne siano molti in tutte le congregazioni: uditori affascinati, uditori affezionati, uditori devoti, ma al tempo stesso uditori non benedetti, perché non sono facitori della Parola.” (Spurgeon)
v. “La conoscete, la vecchia storia; quasi mi vergogno di ripeterla, ma è diretta al punto. Quando Donald uscì dalla chiesa prima del solito, Sandy gli chiese: ‘Ma Donald, il sermone è già finito?’ ‘No’, rispose Donald, ‘è stato tutto detto, ma non è stato ancora messo in pratica’.” (Spurgeon)
b. È simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com’era: Chi si limita ad ascoltare la Parola di Dio senza metterla in pratica possiede la stessa percezione e stabilità di un uomo che si guarda allo specchio e subito dimentica ciò che ha visto. Le informazioni che ha ricevuto non sono servite a produrre nulla di buono nella sua vita.
i. Osserva la sua faccia naturale: L’antica parola greca tradotta con osserva richiama l’idea di uno scrutinio attento. Applicando tale concetto, Giacomo aveva in mente quelle persone che fanno uno scrutinio attento della Parola di Dio; magari saranno considerati esperti della Bibbia, ma alla fine non la mettono in pratica.
ii. “Lo specchio della Parola non è come il nostro comune specchio, che ci mostra semplicemente le nostre fattezze esteriori; ma, secondo il greco del nostro testo, l’uomo vi vede “il volto della sua nascita”, cioè il volto della sua natura. Chi legge e ascolta la Parola può vedere lì non solo le proprie azioni, ma le sue motivazioni, i suoi desideri, la sua condizione interiore.” (Spurgeon)
iii. Avendo comprensione di tale potere della Parola di Dio, il predicatore ha la responsabilità di lavorare sodo per non ostacolarlo. “Alcuni predicatori sognano che sia compito loro dipingere bei quadri, ma non è così. Non dobbiamo progettare e abbozzare, ma semplicemente riflettere la verità. Dobbiamo sorreggere lo specchio della natura umana in senso morale e spirituale e lasciare che gli uomini vi vedano sé stessi. Non dobbiamo nemmeno creare noi lo specchio, ma solo tenerlo in alto. I pensieri di Dio, e non i nostri, devono essere posti davanti alla mente dei nostri ascoltatori, affinché rivelino loro che tipo di persone sono. La Parola del Signore è rivelatrice di segreti: mostra all’uomo la sua vita, i suoi pensieri, il suo cuore, il suo essere più profondo.” (Spurgeon)
iv. Una persona sana si guarda allo specchio per fare qualcosa, non solo per ammirare la propria immagine. Analogamente, un cristiano sano esamina la Parola di Dio per agire in accordo ad essa, non solo per accumulare nozioni di cui non farà buon uso se non è un facitore della Parola.
v. “Le dottrine di Dio, predicate fedelmente, sono uno specchio; chi ascolta non può fare a meno di scoprire il proprio carattere e di risentire della propria deformità; si rattrista e si prefigge di cambiare, ma quando la predicazione finisce e lo specchio viene rimosso… dimentica immediatamente che tipo di uomo era… nei suoi ragionamenti si allontana dalla necessità di ravvedersi e di emendare la propria vita, ingannando così la propria anima.” (Clarke)
vi. “Prendi la legge di Dio come uno specchio (in cui puoi guardare attentamente), dice il signor Bradford; lì vedrai la tua faccia sporca e così vergognosamente sudicia, malconcia, pustolosa e piena di croste, che non potrai fare altro che provare dispiacere alla sua contemplazione.” (Trapp)
c. Ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa… costui sarà beato nel suo operare: Se studiamo attentamente la Parola di Dio e la mettiamo in pratica (persevera in essa), allora saremo beati.
i. Chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà: Nel greco antico, la frase esamina attentamente fa pensare a una persona che si china per dare uno sguardo più da vicino a ciò che ha davanti. Sebbene Giacomo metta l’accento sul fare, non trascura però lo studio della Parola di Dio. Dobbiamo esaminare attentamente la Parola di Dio.
ii. Adam Clarke fa notare che la parola in greco antico tradotta con persevera è parameinas e ha questo significato: “Ci vuole tempo per vedere ed esaminare lo stato della propria anima, la grazia del proprio Dio, l’entità del proprio dovere e la grandezza della gloria promessa. La metafora qui è ispirata a quelle donne che trascorrono molto tempo davanti allo specchio per decorarsi al meglio e non lasciare un solo capello o il più piccolo ornamento fuori posto”.
iii. La legge perfetta, che è la legge della libertà: Che modo meraviglioso di descrivere la Parola di Dio! Nel Nuovo Patto, Dio ci rivela una legge, che però è una legge di libertà, scritta nei nostri cuori trasformati dallo Spirito di Dio.
iv. “L’intera dottrina della Scrittura, e soprattutto del Vangelo, è chiamata legge (Romani 3:27) sia per essere una regola sia per il potere che esercita sul cuore; ed è chiamata legge di libertà, perché mostra la via per la libertà suprema: la libertà dal peccato, dalla schiavitù della legge cerimoniale, dal rigore della legge morale e dall’ira di Dio.” (Poole)
7. (26-27) Esempi di ciò che significa essere facitori della Parola di Dio.
Se qualcuno fra voi pensa di essere religioso, ma non tiene a freno la sua lingua, certamente egli inganna il suo cuore, la religione di quel tale è vana. La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo.
a. Se qualcuno fra voi pensa di essere religioso: Giacomo ci ha appena spiegato che la vera religione non si manifesta soltanto ascoltando la parola, ma mettendola in pratica. Un modo per attuare la Parola di Dio è tenere a freno la lingua.
i. Pensa di essere religioso: Il Nuovo Testamento non usa mai in senso positivo la parola in greco antico per “religioso” (Atti 17:22, 25:19, 26:5; Colossesi 2:23). Giacomo la impiega per descrivere qualcuno che è religioso, ma che non è veramente a posto con Dio, come si evince dal fatto che non tiene a freno la sua lingua.
b. La religione di quel tale è vana: Il nostro cammino con Dio è vano se non si concretizza nel modo in cui viviamo e trattiamo gli altri. Molti sono ingannati nel proprio cuore riguardo alla condizione del loro cammino con Dio.
i. “Questo sembra alludere ai giudei ipocriti, la cui religione consisteva molto nelle osservanze esteriori e nell’evitare le contaminazioni cerimoniali, quando invece erano macchiati da numerose contaminazioni morali (Matteo 23:23; Giovanni 18:2) e divoravano le case delle vedove.” (Poole)
ii. “Non nega il valore del culto pubblico (vedi Giacomo 2:2, 5:14) o dell’osservanza religiosa, ma spiega che agli occhi di Dio una religione pura e senza macchia si esprime negli atti di carità e nella castità, i due tratti dell’etica paleocristiana che impressionarono il mondo di allora.” (Moffatt)
c. La religione pura e senza macchia davanti a Dio: C’è molta religione che agli occhi dell’uomo appare pura e senza macchia, ma che in realtà non è religione pura e senza macchia davanti a Dio.
d. Soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo: Un vero cammino con Dio si manifesta in modi semplici e pratici: aiuta i bisognosi e non si macchia della corruzione del mondo.
i. “Il Ritualismo Biblico, il puro culto esteriore, la vera incarnazione dei principi interiori della religione è soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri dal mondo. Carità e purezza sono le due grandi vesti del cristianesimo.” (Spurgeon)
ii. “La vera religione non si limita a dare qualcosa per il sollievo degli afflitti, ma li soccorre, si prende cura di loro, li prende sotto la propria custodia; questo è il significato di episkeptesthai. Si reca nelle loro case e parla ai loro cuori; allevia le loro necessità, solidarizza con loro nelle loro angosce, li istruisce nelle cose divine e li raccomanda a Dio. E tutto questo lo fa per amore del Signore. Questa è la religione di Cristo.” (Clarke)
e. Puro dal mondo: Non vuol dire che il cristiano debba isolarsi dal mondo, piuttosto che interagisca con orfani e vedove nelle loro afflizioni e con i bisognosi. L’ideale cristiano non è ritirarsi dal mondo; il credente è nel mondo, ma non gli appartiene, e si conserva puro dal mondo.
i. “Vorrei vedere un cristiano non tenuto in una teca di vetro lontano dalla prova e dalla tentazione, ma tuttavia coperto da uno scudo invisibile, in modo che, ovunque vada, sia custodito e protetto dalle influenze maligne che sono nel mondo in quasi ogni luogo.” (Spurgeon)
ii. Dal libro della Genesi, Lot è l’esempio di un uomo che è stato macchiato dal mondo. Cominciò vivendo nei pressi di Sodoma, ignorando il clima spirituale della zona a causa della prosperità che vi trovò. Alla fine, si trasferì nella città malvagia e divenne parte della leadership della città. Il risultato finale fu che Lot perse tutto e fu salvato per il rotto della cuffia.
iii. “Non esiste un libro simile che abbia un ideale così elevato di ciò che la vita può diventare quando viene arresa alla grazia di Cristo. Un cuore purificato e una veste immacolata; nessun peccato consentito e permesso nell’anima e nessuna abitudine malvagia che possa dominare e ammaliare la vita.” (Meyer)
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