Giovanni 15 – Dimorare in Cristo dopo la Sua dipartita
“Leggendo i discorsi di Gesù tramandati da Giovanni, deve subito balzare all’occhio la semplicità del testo e, allo stesso tempo, la sublimità di pensiero quando è compreso anche solo vagamente. È Il cibo più nutriente di tutta la Bibbia.” (Trench)
A. Relazionarsi con Gesù dopo la Sua dipartita.
1. (1-3) Gesù la vera vite.
«Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via; ma ogni tralcio che porta frutto, lo pota affinché ne porti ancora di più. Voi siete già mondi a motivo della parola che vi ho annunziata».
a. Io sono la vera vite: Si trattava di un simbolo ben noto a quei tempi. Dio aveva usato ripetutamente la vite come simbolo per il Suo popolo nelle Scritture ebraiche (per esempio nel Salmo 80:8-9). Eppure, spesso “la vite” veniva usata con un’accezione negativa (come in Isaia 5:1-2,7 e Geremia 2:21). Solo una settimana prima, Gesù aveva insegnato pubblicamente e aveva rassomigliato Israele ad una vigna, come si legge nella parabola dei malvagi vignaioli (Matteo 21:33-44).
i. Gesù rivolse queste parole ai discepoli probabilmente mentre si preparavano a lasciare la sala di sopra. Egli ricorse all’immagine della vite data la vasta presenza di vigneti nell’antico Israele. Inoltre, la decorazione principale della facciata del tempio era proprio una grande vite d’oro, come promemoria a Israele di essere la vite di Dio. Non solo, ma “la vite era anche riconosciuta come simbolo del Messia”. (Dods)
ii. Nonostante tutti questi simboli, Gesù è la vera vite. Dobbiamo essere radicati in Lui (non in Israele), se vogliamo portare frutto per Dio. Nella comunità del Nuovo Patto, siamo chiamati prima di tutto a identificarci in Gesù Cristo stesso, non in Israele né tantomeno nella Chiesa.
iii. Di tutte le immagini che raffigurano la relazione tra Dio e il Suo popolo, la vite e il tralcio enfatizzano una dipendenza totale e un bisogno di connessione costante. Il tralcio dipende dalla vite più di quanto le pecore dipendano dal pastore o un bambino dal proprio padre. Gesù stava dando loro un incoraggiamento importante, data la sua imminente dipartita. Sarebbe rimasto unito a loro e loro a Lui, come i tralci alla vite.
b. E il Padre mio è l’agricoltore: Nell’Antico Testamento, insieme al simbolo della vite per Israele, Dio Padre viene rappresentato come colui che coltiva e si prende cura della vigna. Dio svolge questo ruolo anche per il credente del Nuovo Patto.
i. Chi partecipa al Nuovo Patto ha una relazione sia con il Padre che con il Figlio; sia con la vite che con l’agricoltore.
c. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via: I tralci che vengono rimossi non sono mai stati ben collegati alla vite, considerato che non hanno portato frutto.
i. C’è un altro modo di intendere questo passaggio, che sembra essere degno di nota. James Montgomery Boice (tra gli altri) crede che il verbo nel greco airo, tradotto con “toglie via”, sarebbe meglio reso con solleva, indicando così che il Padre solleva le viti non fruttifere dal suolo (una pratica comune nella viticoltura del tempo). Coloro a cui era affidata la cura di un vigneto si assicuravano di sollevare i tralci infruttuosi affinché ricevessero più sole e portassero un miglior frutto.
ii. “Il verbo tradotto ‘toglie via’ (aireo) significa letteralmente ‘sollevare’ o ‘portare via’; il secondo, ‘pota’ (kathaireo), derivato dal primo, significa ‘purificare’ o ‘pulire’.” (Tenney)
d. Ogni tralcio che porta frutto, lo pota: La parola usata per pota è la stessa tradotta altrove con purifica. Nel greco antico questo termine poteva essere associato sia alla “potatura” che alla “purificazione”. Il vignaiolo purifica la vite che porta frutto affinché ne produca di più.
i. “Lasciata a sé stessa, una vite produrrà una grande quantità di tralci che non portano frutto. È essenziale potarla abbondantemente per ottenere il massimo della raccolta.” (Morris)
ii. “Del legno morto è peggio dell’infruttuosità, perché può portare con sé malattie e putrefazione… Dio rimuove il legno morto dalla Sua chiesa e disciplina la vita del credente affinché sia orientata verso attività fruttuose.” (Tenney)
iii. “E se è doloroso sanguinare, lo è ancora di più appassire. È meglio essere potati per crescere, che essere tagliati via e bruciati.” (Trapp)
e. Voi siete già mondi a motivo della parola che vi ho annunziata: L’opera di potatura e purificazione era già cominciata negli undici discepoli a cui erano rivolte le parole di Gesù. Avevano sentito e ricevuto gran parte dei Suoi insegnamenti e, in un certo senso, erano già mondi a motivo della parola.
i. Dicendo voi siete già mondi, Gesù ripeté un concetto espresso in precedenza quella sera: c’è una purificazione iniziale e successivamente una purificazione continua (Giovanni 13:10).
ii. La parola di Dio è un agente purificatore. Condanna il peccato, ispira santità, favorisce la crescita e rivela la potenza per ottenere la vittoria. Gesù continua a purificare il Suo popolo per mezzo della Parola (Efesini 5:26).
iii. “La potatura o la purificazione avvengono per mezzo della Parola di Dio, la quale condanna il peccato, ispira santità e favorisce la crescita. Avendo applicato le parole ricevute da Dio alla vita dei discepoli, Gesù li sottopose ad un processo di potatura per rimuovere il male da loro e prepararli al servizio.” (Tenney)
2. (4-5) La relazione di vitale importanza tra il tralcio e la vite.
«Dimorate in me e io dimorerò in voi; come il tralcio non può da sé portare frutto se non dimora nella vite, così neanche voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla».
a. Dimorate in me e io dimorerò in voi: Gesù enfatizzò la reciprocità della relazione. Non si tratta solo del discepolo che dimora nel Maestro; anche il Maestro dimora nel discepolo. Questa relazione intima viene parzialmente descritta nel Cantico dei Cantici 6:3: Io sono del mio diletto, e il mio diletto è mio.
i. Gesù usò quest’immagine per assicurare ai Suoi discepoli la continua connessione e relazione con Lui, nonostante la Sua partenza. Eppure, dalle Sue parole cogliamo un elemento di scelta. Dimorare era qualcosa che dovevano scegliere di fare.
ii. “Quando il nostro Signore dice: ‘Dimorate in me’,sta parlando della volontà, delle scelte e delle decisioni che prendiamo. Dobbiamo decidere di fare ciò che ci espone a Lui e ci mantiene in contatto con Lui. Ecco cosa significa dimorare in Lui.” (Boice)
b. Come il tralcio non può da sé portare frutto se non dimora nella vite: È impossibile che il tralcio produca dell’uva, se non è connesso alla vite. Il discepolo non può fare veramente del bene per Dio e per il Suo regno, se non si collega consapevolmente a Gesù e dimora in Lui.
i. “La nostra linfa e la nostra salvezza provengono da Cristo. Il bocciolo di un buon desiderio, il fiore di un buon proposito e il frutto di una buona azione provengono tutti da Lui.” (Trapp)
c. Io sono la vite, voi siete i tralci: Gesù dovette parlare in questa maniera, probabilmente perché i discepoli erano tanto abituati ad associare Israele alla vite, da pensare quasi esclusivamente in termini della loro connessione ad esso. Adesso dovevano pensare a Gesù come la vite e porre l’attenzione sulla propria connessione a Lui.
d. Chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto: Quando si dimora in Gesù, portare frutto è inevitabile. La qualità e la quantità del frutto possono differire, ma la presenza del frutto sarà inevitabile.
i. Lo scopo del tralcio è di portare frutto. Nonostante esistano usi per le foglie d’uva, le persone non coltivano i vigneti per ammirarne il fogliame. Si prendono la briga di coltivare, piantare, irrigare e curare le viti per poterne raccogliere i frutti. In questo senso, possiamo dire che il frutto rappresenta il carattere del cristiano (come il frutto dello Spirito in Galati 5). L’opera di Dio in noi e la nostra connessione a Lui dovrebbero essere evidenti dal frutto, e magari anche dal molto frutto.
ii. Il frutto dà anche l’idea di riproduzione intrinseca. Praticamente ogni frutto porta dentro di sé dei semi, indispensabili per la riproduzione di altri frutti.
iii. Il concetto non si limita al nostro dimorare in Gesù; include anche il Suo dimorare in noi (e io in lui). Si tratta di una dinamica per cui la nostra vita è connessa in modo vitale a Gesù sia spiritualmente che praticamente, e per cui Egli dimora in noi in modo attivo e reale. La responsabilità di dimorare non si limita assolutamente solo al credente.
e. Senza di me non potete far nulla: Non significa che i discepoli non fossero in grado di intraprendere alcuna attività senza Gesù. Potevano certamente essere attivi senza di Lui, come lo erano i nemici di Gesù e molti altri. Eppure, senza Gesù non possiamo far nulla che abbia un valore reale ed eterno.
i. “L’IO SONO si manifesta nella parola ‘me’, e la dichiarazione di piena potenza rivela l’Onnipotente. O queste parole significano Trinità o non significano nulla.” (Spurgeon)
ii. “È solo grazie alla sua unione con Lui che un tralcio può produrre frutto: una volta spezzata quell’unione, la linfa non scorre più; e il frutto in quel tralcio non è più possibile, sebbene la linfa rimanente possa essere sufficiente a far spuntare nuove foglie, dando per un po’ una parvenza di vita.” (Trench)
iii. “Paolo non ricorre alla stessa espressione giovannea, ma comunica la stessa verità quando dice: ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!’ (Galati 2:20), e ‘Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica’ (Filippesi 4:13).” (Bruce)
iv. “‘Senza di me non potete fare nulla’. Se ciò vale per gli apostoli, figuriamoci per gli oppositori! Se i Suoi amici non possono fare nulla senza di Lui, sono sicuro che i Suoi nemici non possono fare nulla contro di Lui.” (Spurgeon)
3. (6-8) Il prezzo del non dimorare e la promessa per coloro che invece dimorano.
«Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio e si secca; poi questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e sono bruciati. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli».
a. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio e si secca: Gesù avvertì i propri discepoli che non dimorare in Lui significa che la vita viene a mancare. Un tralcio ha vita solo quando è connesso al ceppo della vite; un discepolo ha vita spirituale solo se connesso al Maestro.
i. Questi verbi descrivono una successione di eventi per colui che non dimora in Lui: viene gettato via, si secca, viene raccolto, gettato nel fuoco e bruciato. Come avviene in altre parabole, l’immagine usata da Gesù non serviva a descrivere un intero sistema teologico, sebbene la progressione illustrata funga da avvertimento contro il pericolo di non dimorare in Lui.
ii. Le parole usate da Gesù sono importanti. Non disse: “Se qualcuno non porta frutto, è gettato via”.Disse piuttosto: “Se uno non dimora in me, è gettato via”. Egli sa chi dimora e chi no, e ciò non può essere perfettamente determinato da una nostra valutazione esteriore del frutto.
b. Questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco: I tralci senza vita non portano frutto, e persino il loro legno non è buono se non come combustibile. Il riferimento al bruciare e al fuoco richiama la punizione nella vita futura e fa da avvertimento contro le terribili conseguenze per coloro che non dimorano in Lui.
i. Pensiamo all’impatto che tali parole ebbero sugli undici discepoli, che le ascoltarono per primi. Gesù disse loro che Se ne sarebbe andato, ma che la loro connessione a Lui non sarebbe stata recisa. L’opera dello Spirito Santo, mandato dal Padre, li avrebbe mantenuti attaccati a Gesù. Se si fossero separati da Lui, sarebbero finiti in rovina, forse proprio come Giuda.
ii. Esistono almeno tre interpretazioni riguardo alla sicurezza della posizione del discepolo in Gesù espressa in questo passo.
·La prima interpretazione afferma che i tralci gettati via rappresentano quelli che una volta erano credenti sinceri, ma che finiscono all’inferno per non aver dimorato e non aver portato frutto. Una volta erano discepoli, ma ora sono gettati via.
·La seconda interpretazione afferma che i tralci gettati via rappresentano coloro che avevano solo l’apparenza di discepoli, ma non hanno mai davvero dimorato in Gesù e, dunque, finiscono all’inferno (come Giuda).
·La terza interpretazione afferma che i tralci gettati via sono discepoli infruttuosi che sprecano le proprie vite, che in effetti attraversano il fuoco, senza alcun riferimento al loro destino eterno (come Lot, nipote di Abramo).
iii. L’enfasi sembra chiara: non esistono veri discepoli che non dimorano in Gesù. I tralci devono rimanere collegati alla vite, altrimenti non hanno vita in sé stessi e non sono di alcuna utilità, tranne che essere bruciati.
iv. Sono bruciati: “Non, ‘vengono bruciati’, nel senso di essere consumati; ma‘e devono bruciare’, come tradotto da Lutero.” (Alford)
c. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto: Gesù associò il principio di dimorare in Lui a due idee menzionate precedentemente nella sala di sopra.
·Le mie parole dimorano in voi: Gesù collega l’idea di dimorare a quella di fedeltà alle Sue parole, come precedentemente menzionato in Giovanni 14:23-24.
·Domandate quello che volete: Gesù collega il dimorare al concetto di preghiera esaudita, come già visto in Giovanni 14:13-14. “La preghiera sorge spontanea da coloro che dimorano in Gesù… La preghiera scaturisce naturalmente dall’anima in comunione con Gesù.” (Spurgeon)
i. Dimorare in Gesù significa dimorare nelle Sue parole e permettere alle Sue parole di vivere nel discepolo. “Non dovremmo sottovalutare l’importanza del riferimento alle ‘mie parole’. L’insegnamento di Cristo è importante e non deve essere tralasciato con leggerezza nell’interesse della promozione del sentimento religioso.” (Morris)
ii. “La connessione sussiste attraverso l’obbedienza e la preghiera. Rimanere in Cristo e permettere alle Sue parole di rimanere in noi si traducono in un’accettazione consapevole dell’autorità della Sua parola e in un contatto costante con Lui per mezzo della preghiera.” (Tenney)
iii. Il discepolo fedele e dimorante dovrebbe aspettarsi la risposta alle proprie preghiere come parte integrante della sua relazione con Gesù. Se non si riesce a vedere l’esaudimento delle proprie preghiere, significa che c’è qualcosa che non funziona nella relazione da parte del discepolo. Forse c’è qualcosa di sbagliato nel dimorare, rendendo le preghiere inefficaci e senza risposta. Forse c’è qualcosa che non va nel chiedere e non c’è comprensione di quello che Gesù vuole fare nel e attraverso il Suo discepolo.
iv. Vi sarà fatto: “Dio può affermare con certezza all’anima santificata: ‘Chiedi quello che vuoi e ti sarà fatto’. Gli istinti celesti di quell’uomo lo conducono sulla via giusta; la grazia presente nella sua anima rigetta ogni bramosia e desiderio malvagio, e la sua volontà diventa un riflesso di quella di Dio. La vita spirituale è predominante in lui, e le sue aspirazioni sono quindi sante, celesti e divine.” (Spurgeon)
d. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto: Lo scopo di portare frutto è portare gloria a Dio, non al discepolo. Un tralcio che porti molto frutto porta onore a colui che si prende cura della vigna, e un discepolo che porta molto frutto in senso spirituale porta onore a Dio.
i. “I tralci e i grappoli non sono caratterizzati dall’egoismo né hanno altro scopo se non di portare gloria alla vite e all’agricoltore: tutti gli altri scopi sono ritenuti indegni e gettati via.” (Trench)
ii. In questo è glorificato il Padre mio: “Oppure, onorato. Va ad onore dell’agricoltore avere delle viti rigogliose, forti e vigorose, con frutti in abbondanza: e allo stesso modo porta onore a Dio avere figli santi, forti e vigorosi, interamente liberi dal peccato e perfettamente ripieni del Suo amore.” (Clarke)
iii. La vera capacità di portare frutto viene determinata dopo un lasso di tempo abbastanza lungo. “La vera conversione non viene misurata da una decisione affrettata, ma dalla fruttuosità a lungo termine” (Erdman), come mostrato nella Parabola del seminatore (Matteo 13).
4. (9-11) Il nesso tra amore e obbedienza.
«Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia piena».
a. Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: Gesù ha amato i propri discepoli volutamente nello stesso modo in cui Dio Padre ha amato Lui. Sappiamo che Gesù dimostrava il proprio amore per i discepoli ammaestrandoli, proteggendoli, guidandoli, servendoli al punto di sacrificarsi e ricorrendo alla propria potenza e alla propria autorità per compiere tutte queste cose. In un certo senso, il Padre aveva fatto tutto ciò per Gesù e Gesù, a sua volta, lo aveva fatto per i propri discepoli seguendo l’esempio del Padre.
i. L’amore di Gesù per il Suo popolo è tanto grande da essere questa l’analogia migliore da adottare. Egli non disse: “Vi amo come una madre ama il proprio bambino”, o “Vi amo come un marito ama la propria moglie”, o “Vi amo come un soldato ama il proprio compagno d’armi”, o persino “Vi amo nel modo in cui un tossicodipendente ama la sua roba”. L’unico modo in cui avrebbe potuto illustrare il proprio amore era di paragonarlo all’amore del Padre per il Figlio.
ii. Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi: “Cristo non poteva esprimere il proprio amore per i Suoi in maniera più sublime. Non c’è altro che si possa aggiungere. Chi può descrivere l’amore del Padre per il Figlio? Una tale dichiarazione riempie l’anima di un senso di profondità inscrutabile.” (Morgan)
iii. “Oh amato, non osare, non dubitare dell’amore del Padre per il Figlio. È una di quelle verità indiscutibili a cui non sogneresti mai di controbattere. Il nostro Signore vuole che consideriamo il Suo amore per noi nella stessa categoria dell’amore del Padre per Lui. Dobbiamo essere certi sia dell’uno che dell’altro.” (Spurgeon)
iv. Il Padre amò il Figlio con un amore:
·Senza inizio.
·Senza fine.
·Intimo e personale.
·Incommensurabile.
·Immutabile.
b. Dimorate nel mio amore: Non esiste un unico modo per descrivere la natura e il carattere di Gesù. Egli è ricolmo di potenza, saggezza, verità, santità, devozione, sottomissione, sacrificio e innumerevoli altre qualità. Tra tutte queste, Gesù disse: “Dimorate nel mio amore”. Quando il discepolo rimane connesso all’amore di Gesù, la relazione rimane forte.
i. Dimorerete nel mio amore: “Si noti che questa è data come una spiegazione su come dimorare nel Suo amore. Non si tratta di qualche esperienza mistica, ma di semplice obbedienza: quando un uomo obbedisce ai comandamenti di Cristo, egli dimora nel Suo amore.” (Morris)
c. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore: Ancora una volta, Gesù associò il vero discepolato all’obbedienza ai Suoi comandamenti e all’onorare la Sua parola. Gesù l’aveva fatto nei confronti del Padre; il discepolo deve farlo per Gesù.
i. Come notato precedentemente (Giovanni 14:15), ciò che Gesù fece ed insegnò quella sera nella sala di sopra enfatizzava i comandamenti di Gesù, principalmente riguardo all’amore per i propri condiscepoli, il servizio sacrificale nei loro confronti e l’amore fiducioso per Dio Padre e per il Figlio Gesù.
d. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia piena: Quando il discepolo non dimora nell’amore di Gesù e di conseguenza non osserva i Suoi comandamenti, non sperimenterà la pienezza di gioia promessa da Gesù a coloro che invece dimorano nel Suo amore e nell’obbedienza a Lui.
i. “Non esiste persona più miserabile del cristiano che per un periodo di tempo limita la propria obbedienza. Questi non ama il peccato abbastanza da goderne i piaceri né ama Cristo sufficientemente da trovare diletto nella santità. Si rende conto dell’iniquità della propria ribellione, ma trova sgradevole l’obbedienza. Non si sente più a proprio agio nel mondo, ma il ricordo delle sue vecchie amicizie e delle parole allettanti della sua vecchia musica gli impediscono di cantare insieme ai santi. È un uomo del quale avere pietà; non può rimanere per sempre nell’indecisione.” (Carson)
e. Affinché la mia gioia dimori in voi: La gioia di Gesù non equivale a quella che viene comunemente intesa come felicità o eccitazione. La gioia di Gesù non è il piacere di una vita piena di agi; è l’euforia di essere a posto con Dio e di camminare consapevolmente nel Suo amore e nella Sua cura. Possiamo avere quella gioia – la Sua gioia – che dimora stabilmente in noi.
i. La mia gioia: “Non ‘La gioia che riguarda Me’,o ‘La gioia che deriva da Me’, neppure ‘la mia gioia su di voi’, bensì la mia gioia, in senso letterale… il Suo santo giubilo, la gioia del Figlio nella consapevolezza dell’amore di Dio.” (Alford)
ii. Quando Gesù parlò della Sua gioia, “nessuno gli chiese mai cosa intendesse. I discepoli non si guardarono l’un l’altro perplessi. Sembrava completamente naturale che il Maestro facesse riferimento alla Sua gioia. Da ciò capiamo che la gioia di Cristo era qualcosa di cui erano perfettamente a conoscenza.” (Morrison)
f. La vostra gioia sia piena: Questo è il risultato di dimorare nell’amore di Gesù e dell’obbedienza che scaturisce da quella relazione.
i. La vostra gioia sia piena: “Oppure, completa – plhrwyh, riempita. La metafora si riferisce a un recipiente nel quale viene versata dell’acqua o dell’altro liquido fino all’orlo. La religione di Cristo caccia qualsiasi miseria dai cuori di coloro che la ricevono nella sua pienezza. Gesù venne sulla terra per scacciare la miseria da questo mondo.” (Clarke)
ii. “Dio creò gli esseri umani, insieme alle altre creature, perché fossero felici. Gli uomini sono capaci di felicità e, quando la provano, si trovano nel loro elemento. Adesso che Gesù Cristo è venuto a ristabilire il mondo dalla rovina della Caduta, Egli vuole restituirci la vecchia gioia, tanto più dolce e profonda di quanto lo sarebbe stata se non l’avessimo mai perduta.” (Spurgeon)
B. Relazionarsi gli uni con gli altri dopo la dipartita di Gesù.
1. (12-15) Gesù spiega ai discepoli fino a che punto devono imitare il Suo amore.
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio».
a. Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi: Mentre Gesù diceva queste parole ai discepoli, dopo essersi alzati da tavola, ma trovandosi ancora nella sala di sopra, percepiamo l’enfasi creata dalla ripetizione. A Gesù importava davvero che i Suoi discepoli si amassero gli uni gli altri e che lo facessero secondo la misura e la qualità del Suo amore per loro.
i. “Forse si aspettavano delle istruzioni dettagliate e minuziose, come quelle che avevano ricevuto quando furono inviati per la prima volta (Matteo 10). Ma invece di regole, l’amore avrebbe dovuto essere una guida sufficiente.” (Dods)
ii. “Siamo mandati nel mondo per amarci gli uni gli altri. Tuttavia, a volte viviamo come se fossimo stati inviati nel mondo per competere gli uni con gli altri, fare dispute gli uni con gli altri, o addirittura litigare gli uni con gli altri.” (Barclay)
iii. Come io ho amato voi: “Il Suo amore era contemporaneamente la fonte e la misura del loro.” (Dods)
iv. “Unità invece di rivalità, fiducia invece di sospetto, obbedienza invece dell’autoaffermazione – queste devono governare gli sforzi comuni dei discepoli.” (Tenney)
v. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri: “Quel comandamento si impresse a tal punto nel cuore di Giovanni che, come dice S. Girolamo nel suo Commentario alla Lettera ai Galati (libro III, capitolo 6), in età avanzatissima, quando veniva condotto nelle assemblee pubbliche dei credenti, ripeteva costantemente: ‘Figlioli, amatevi gli uni gli altri’. I suoi discepoli, stanchi ormai di sentire sempre le stesse parole, gli chiesero la motivazione della sua costante ripetizione. Egli rispose: ‘Perché è il comandamento del Signore, e la sola sua osservanza è sufficiente’.” (Clarke)
b. Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici: Gesù illustrò loro la misura e la qualità del Suo amore per loro affinché la usassero come modello per l’amore che avrebbero dovuto avere gli uni per gli altri. Il Suo amore è completo e di una grandezza ineguagliabile, avendo Egli deposto la propria vita.
i. “Nessun uomo può avere un amore per un amico più grande di questo: infatti, quando rinuncia alla propria vita per salvarlo, rinuncia a tutto quello che ha. Questa prova del mio amore per voi vi sarà mostrata tra qualche ora; e la dottrina che vi trasmetto, ve la mostrerò col mio esempio.” (Clarke)
c. Vi ho chiamati amici: Gesù descrisse la misura e la qualità del Suo amore per loro come un amore che tratta i servi come amici. A quel tempo, nella relazione tra un discepolo e il suo rabbino non c’era posto per l’amicizia. Invece, Gesù il Rabbino chiamò i propri discepoli, i propri servi, amici.
i. Nella cultura del tempo, uno schiavo poteva essere uno strumento utile e fidato, ma non si poteva mai pensare a lui come ad un compagno. Era possibile che uno schiavo e un amico aiutassero in maniera simile, ma un amico poteva essere un compagno di lavoro in un modo in cui uno schiavo non avrebbe mai potuto essere.
ii. “John Wesley, ricordando molti anni dopo la propria conversione, la descrisse come un momento in cui avvenne in lui uno scambio di fede: da quella di servo a quella di figlio.” (Bruce)
d. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando: Erano amici perché erano obbedienti (anche se non in modo perfetto). L’amicizia con Gesù non è a prescindere dall’obbedienza ai Suoi comandamenti.
i. “Bisogna che sia obbedienza attiva, rammentalo. ‘Voi siete i miei amici, se fate tutto quello che vi comando’. Alcuni credono che sia sufficiente evitare ciò che Egli vieta. Astenersi dal male è una parte importante della rettitudine, ma non è abbastanza per l’amicizia.” (Spurgeon)
e. Vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio: Erano amici perché Gesù non teneva nascosto loro nulla; al contrario, rivelò apertamente ciò che aveva ricevuto da Dio Padre.
i. “L’amico è un confidente che condivide la conoscenza dello scopo del suo superiore e lo adotta volontariamente come proprio.” (Tenney)
2. (16-17) Scelti per portare frutto e amarsi gli uni gli altri.
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi; e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto sia duraturo, affinché qualunque cosa chiediate al Padre nel mio nome, egli ve la dia. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
a. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi: Gesù aveva appena mostrato loro il grande privilegio che avevano quali discepoli – la loro amicizia con il Maestro, le loro preghiere che ricevono risposta, il portare molto frutto, la conoscenza delle cose del Padre. I discepoli avrebbero dovuto giustamente far tesoro di tutto ciò senza inorgoglirsi, senza pensare che l’avessero meritato. Erano tutti radicati nella certezza che Gesù aveva scelto loro e non viceversa.
i. “Siamo in Cristo non perché noi sosteniamo Lui, ma perché Lui sostiene noi.” (Meyer)
ii. “Non furono loro a sceglierlo, come invece facevano solitamente i discepoli del tempo quando si associavano ad un Rabbino in particolare. Gli studenti di tutto il mondo si dilettano a cercarsi il maestro che preferiscono e a seguirlo. Ma i discepoli di Gesù non presero l’iniziativa. Anzi, fu proprio Lui a sceglierli.” (Morris)
iii. Perché andiate e portiate frutto: “La parola andiate probabilmente esprime semplicemente l’attività normale del vivere e il principio di maturazione; non i viaggi missionari degli Apostoli, come interpretato da alcuni.” (Alford)
b. Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto sia duraturo: Gesù scelse i discepoli non solo per dar loro l’emozione di essere stati scelti, ma affinché portino un frutto duraturo per la gloria di Dio Padre.
i. “Gran parte del loro frutto sarebbe stata vincere altre anime per Cristo, ma non è l’idea principale intesa qui.” (Alford)
c. Affinché qualunque cosa chiediate: Di nuovo, Gesù associò il portare frutto con l’esaudimento della preghiera. Gesù stava preparando i discepoli, perché, una volta lasciati, la loro esperienza di chiedere e ricevere non sarebbe giunta alla fine, ma sarebbe cambiata.
d. Che vi amiate gli uni gli altri: Gesù comandò nuovamente loro di amarsi gli uni gli altri. Dopo la Sua dipartita, non avrebbero dovuto separarsi né rivoltarsi l’uno contro l’altro. Gesù li preparò a rimanere uniti e ad amarsi gli uni gli altri.
C. Relazionarsi con il mondo dopo la dipartita di Gesù.
1. (18-20) Il mondo respingerà i discepoli a causa di chi sono.
«Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma poiché non siete del mondo, ma io vi ho scelto dal mondo, perciò il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: “Il servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra».
a. Se il mondo vi odia: Gesù rivelò ai discepoli che il mondo li avrebbe spesso odiati. Per quanto fossero meravigliosi Gesù e il Suo messaggio, i discepoli si sarebbero dovuti aspettare di essere respinti dopo che Gesù li avrebbe lasciati, proprio come avevano ricevuto spesso opposizione mentre Egli era con loro.
i. I discepoli a cui parlò Gesù quella notte avrebbero sperimentato l’odio del mondo. Furono perseguitati e morirono tutti come martiri nel nome di Gesù, eccetto Giovanni – che cercarono di uccidere, ma che miracolosamente non avrebbe sperimentato la morte per mano dei nemici.
ii. I primi cristiani conobbero l’odio del mondo. “Tacito parla di persone ‘odiate per i loro crimini, che le masse chiamano cristiani’. Svetonio parla di una ‘razza di uomini che fanno parte di una nuova, malvagia superstizione’.” (Barclay)
iii. “È strano che il mondo abbia giustificato la propria ostilità nei confronti dei cristiani imputando a loro di essere stati i primi a diffondere odio. Il riferimento più antico ai cristiani nella letteratura pagana li accusa di ‘odio contro la razza umana’.” (Tacito, Annali, 15.44.5) (Bruce)
iv. Nel corso dei secoli, i cristiani hanno conosciuto l’odio del mondo, a causa del quale milioni di credenti sono morti per Gesù. Si dice che ci siano stati più martiri per Gesù nel ventesimo secolo che in tutti i secoli precedenti messi insieme.
v. “Non può che essere significativo che i discepoli siano conosciuti per il loro amore, mentre il mondo è noto per il suo odio.” (Morris)
b. Sappiate che ha odiato me prima di voi: Gesù sperava di consolare i discepoli dando loro la consapevolezza di come l’odio del mondo fosse diretto prima contro di Lui. Gesù aveva attirato l’attenzione delle grandi moltitudini e la devozione di individui di tutti i tipi; eppure, nel complesso, il mondo ha odiato Gesù.
i. Sappiate: “Sappiate si può anche tradurre con l’indicativo sapete. Il senso è dunque ‘siete consapevoli’ oppure ‘siate sicuri che’, affinché (indipendentemente dall’interpretazione) l’odio del mondo per loro non li cogliesse di sorpresa.” (Tasker)
ii. Ha odiato me: “Il tempo al perfetto del verbo ‘odiare’ (memiseken) indica che l’odio del mondo è un’attitudine costante verso di lui – un’attitudine che si estende anche contro i suoi discepoli.” (Tenney)
iii. Quando Gesù parlò a Saulo di Tarso sulla Via di Damasco, gli chiese: “Perché mi perseguiti?” (Atti 9:4) “Il Signore, che era stato perseguitato sulla terra, continuò ad esserlo nella persona dei Suoi seguaci, persino dopo il Suo trionfo.” (Bruce)
iv. Ha odiato me: “Lui e il mondo sono antagonisti. Il mondo era felice di dimenticare Dio: Gesù venne per ricondurre l’uomo al Padre.” (Trench)
c. Poiché non siete del mondo: Gesù lo disse sia come fatto che come spiegazione. Si tratta infatti di una spiegazione ulteriore del perché il mondo avrebbe odiato i Suoi discepoli. Si tratta anche di una descrizione reale dei discepoli, del fatto che erano diversi dal mondo in molti modi.
i. Ma io vi ho scelto dal mondo: “L’odio del mondo, anziché essere deprimente, avrebbe dovuto essere stimolante, quale prova e garanzia di essere stati scelti da Cristo.” (Dods)
d. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi: Gesù fu perseguitato principalmente dalle autorità religiose, le quali riflettevano i valori e gli obiettivi del mondo in opposizione a Dio. Si può essere religiosi ed appartenere comunque al mondo.
i. Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra: “La forza dell’ultima frase in questo versetto viene ben espressa da Knox: ‘Presteranno la stessa attenzione alle vostre parole come hanno fatto con le mie: nessuna’.” (Tasker)
2. (21-25) Il mondo respingerà i discepoli a causa di chi è Gesù.
«Tutte queste cose ve le faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero colpa; ma ora non hanno alcuna scusa per il loro peccato. Chi odia me, odia anche il Padre mio. Se non avessi fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro ha fatto, non avrebbero colpa; ora invece le hanno viste, e hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo è accaduto affinché si adempisse la parola scritta nella loro legge: “Mi hanno odiato senza motivo”».
a. Perché non conoscono colui che mi ha mandato: Quando le persone non conoscono realmente Dio, spesso attaccano e perseguitano coloro che in qualche modo Lo rappresentano. Ciò dovrebbe suscitare compassione nei perseguitati nei confronti dei loro persecutori.
i. “Gli uomini preferiscono sviluppare una concezione propria del Padre universale, una concezione che si adatterà agli standard loro e della loro Era. L’unica vera concezione del Padre deve essere ottenuta dal Figlio.” (Trench)
b. Ora non hanno alcuna scusa per il loro peccato: Poiché Gesù è sceso sulla terra per parlare al mondo, sapevano ora qualcosa sul conto di Dio che prima non conoscevano. Per questo motivo non avevano alcuna scusa per odiare e respingere Gesù e il Suo Padre celeste. Gesù ha fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro ha fatto e, nonostante ciò, Lo hanno odiato e respinto.
i. Parlato loro… fatto in mezzo a loro le opere: “Per mezzo della Sua vita e delle Sue parole, Egli rimprovera il peccato umano e lo condanna. Porta alla luce la corruzione interiore e l’ipocrisia degli uomini, e questi reagiscono violentemente a tale rivelazione.” (Tenney)
ii. Parlato loro… fatto in mezzo a loro le opere: “Perciò, Egli ci mette davanti agli occhi due modi in cui manifesta la Sua natura divina: le Sue parole e le Sue opere. Tra le due, dà la priorità alle Sue parole, che sono una rivelazione più profonda, preziosa e brillante di Dio di quanto non lo siano i Suoi miracoli.” (Maclaren)
c. Mi hanno odiato senza motivo: Una citazione del Salmo 69:4 (e possibilmente del Salmo 35:19) che Gesù fa per mostrare il precedente scritturale e l’adempimento profetico, secondo cui il mondo non aveva alcun giusto motivo per odiare Gesù e il Padre come faceva.
i. “L’irragionevole odio che provavano nei confronti di Gesù e del Padre è inspiegabile, se non come conferma della verità delle parole del salmista: Mi odiano senza motivo (Salmo 35:19; 69:4).” (Tasker)
ii. “L’ironia di questa citazione è chiara: gli stessi uomini che si vantavano di essere esperti della Legge stavano adempiendo le profezie riguardanti i nemici del servo di Dio.” (Tenney)
iii. Poiché i discepoli di Gesù si aspettano un certo odio e rifiuto del mondo, dovrebbero vivere in modo che sia senza motivo. Nella sua lettera, Pietro aprì il proprio cuore: Se siete vituperati per il nome di Cristo, beati voi, poiché lo Spirito di gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi; da parte loro egli è bestemmiato, ma da parte vostra egli è glorificato. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore, o perché si impiccia negli affari degli altri; ma, se uno soffre come cristiano, non si vergogni, anzi glorifichi Dio a questo riguardo (1 Pietro 4:14-16).
3. (26-27) La testimonianza dello Spirito Santo e dei discepoli.
«Ma quando verrà il Consolatore che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre mio, egli testimonierà di me. E anche voi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio».
a. Quando verrà il Consolatore: Gesù aveva menzionato precedentemente che avrebbe inviato il Consolatore (Giovanni 14:16, 14:26). Egli sapeva che, dopo la Sua dipartita, i discepoli avrebbero avuto bisogno della presenza e della potenza dello Spirito Santo per affrontare l’opposizione del mondo.
i. Che procede dal Padre: Questo versetto è stato fonte di una controversia storica tra il ramo orientale e quello occidentale del Cristianesimo, in cui si discute se lo Spirito procede solo dal Padre, o dal Padre e dal Figlio.
ii. “Sebbene l’arrivo del Consolatore sia definito chiaramente come subordinato all’iniziativa del Figlio, si legge solamente che ‘procede’ dal Padre. Da qui deriva la lunga disputa tra Est e Ovest riguardo all’espressione filioque nel Credo di Nicea.” (Tasker)
iii. “L’aggiunta occidentale della frase ‘che procede dal Padre e dal Figlio’ (filioque) potrebbe essere giustificata dal fatto che sia il Figlio che il Padre mandano lo Spirito. L’obiezione principale è che una parte della chiesa non avrebbe dovuto alterare arbitrariamente il testo del credo ecumenico senza fare riferimento al resto della chiesa.” (Bruce)
b. Egli testimonierà di me: Gesù aveva detto loro che il Consolatore, lo Spirito Santo, avrebbe continuato la Sua opera d’insegnamento (John 14:26), illustrando in quest’occasione che il Consolatore avrebbe parlato di Gesù e tutto ciò che riguarda Lui.
i. Tutto quello che fa lo Spirito Santo è coerente con la testimonianza della natura di Gesù. Il suo compito è quello di insegnarci e di mostrarci chi è Gesù. Se accadono eventi spirituali che non sono in linea con la natura del Figlio di Dio, allora non è lo Spirito Santo a farle. Egli è colui che testimonierà di Gesù in tutto ciò che fa.
c. E anche voi renderete testimonianza: I discepoli non sarebbero stati lasciati da soli nel mondo solo per sopportarne l’odio. Con la potenza del Consolatore e la Sua testimonianza riguardo a Gesù, avrebbero reso testimonianza di Lui e di quello che ha fatto per salvare il mondo.
i. “La testimonianza del Consolatore e quella degli Apostoli sono in realtà una cosa unica.” (Tasker)
ii. “La loro testimonianza è collegata a quella dello Spirito Santo. Rendono testimonianza dello stesso Cristo, testimoniano della stessa salvezza. Allo stesso tempo è anche la loro testimonianza. Non possono semplicemente rilassarsi e lasciare che lo Spirito faccia tutto il lavoro.” (Morris)
iii. È probabile che questa testimonianza avesse un’applicazione speciale per gli apostoli. “Il versetto allude alla testimonianza storica che lo Spirito Santo, presente nei ministri e nei testimoni oculari della parola, avrebbe consentito loro di dare, Luca 1:2. Da qui si nota sia l’aspetto umano di questa grande testimonianza dello Spirito di verità, sia l’aspetto divino, DI CUI I NOSTRI VANGELI ISPIRATI SONO IL RIASSUNTO: la Sua testimonianza nella vita e nel cuore di ogni credente in ogni epoca.” (Alford)
d. Perché siete stati con me: I discepoli erano qualificati per rendere testimonianza di Gesù, perché credevano in Lui, perché avevano lo Spirito Santo e semplicemente perché erano stati con Lui – erano parte della Sua vita, ed Egli era parte della loro.
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