Filippesi 3




Filippesi 3 – Lasciare la Legge e Andare Avanti verso Gesù

A. La futilità di una relazione con Dio basata sul principio della legge.

1. (1-2) Avvertimento contro l’influenza dei giudei legalisti.

Per il resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore; per me certo non è gravoso scrivervi le stesse cose, e per voi è una salvaguardia. Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare.

a. Per il resto: In alcune versioni viene reso con infine. Non vuol dire che Paolo si stia avviando verso la conclusione; sta solamente facendo quello che fanno molti predicatori. La frase per il resto indica comunque un punto di transizione nella lettera.

i. “L’‘infine’ di Paolo non è il ‘per finire’ dei predicatori odierni. Userà un altro ‘infine’ in 4:8. La sua intenzione in questo frangente non è quello di concludere la lettera. Le parole tradotte dal termine ‘infine’ significano letteralmente ‘per il resto’.” (Wuest)

b. Rallegratevi nel Signore: È un tema che permea tutta la lettera. Paolo rende i Filippesi partecipi del principio di essere in grado di rallegrarsi nel Signore – non nelle circostanze o nelle situazioni, ma nel Signore, il quale fa cooperare al bene tutte le cose.

i. Questa gioia duratura si addice al credente, perché è la prova della sua fiducia in un Dio che crede abbia veramente il controllo. Quando abbiamo fiducia di questo, l’essere ripieni di gioia non sarà una sorpresa.

ii. Rallegratevi nel Signore: “L’intera frase si può definire l’equivalente cristiano dell’esclamazione veterotestamentaria Alleluia”. (Martin)

iii. “È nostro dovere coltivare questa gioia. Dobbiamo costantemente arrestare ogni tendenza al mormorio e alle lamentele, a trovare da ridire sui modi di agire di Dio o a cercare di suscitare commiserazione. Dobbiamo resistere alla tentazione della depressione e della tristezza come faremmo con qualsiasi altra forma di peccato.” (Meyer)

c. Per me certo non è gravoso scrivervi le stesse cose, e per voi è una salvaguardia: Paolo assicura ai Filippesi che a lui non dispiace rammentare loro le stesse cose, perché è per la loro sicurezza.

i. Per Paolo non era un peso ricordare loro queste cose, essendo fortemente preoccupato riguardo a certi pericoli che egli denunciava apertamente. “È uno sfogo davvero considerevole, perché la sua impetuosità non è per niente simile al resto della lettera, dove il tono è tranquillo, gioioso e luminoso; qui il tono è burrascoso e accorato, ricolmo di parole forti e pungenti.” (Maclaren)

d. Guardatevi dai cani: Si tratta di un riferimento molto duro rivolto ai legalisti sovversivi che tentavano di sedurre i Filippesi. “Cani” è esattamente lo stesso termine di disprezzo che i giudei usavano nei confronti dei gentili. Paolo dice molto attraverso l’uso di questa parola contro i legalisti di influenza giudaica.

i. Muller cita Lightfoot: “I branchi di cani che si aggirano nelle città orientali senza una casa e senza un padrone, che si cibano dei rifiuti e della sporcizia sulle strade, che litigano tra loro e attaccano i passanti, illustrano le applicazioni di quest’immagine.

ii. “Ci viene ordinato, quindi, di stare attenti agli uomini dallo spirito litigioso e contenzioso, che camuffano cose impure e contaminate sotto vesti di religiosità; non solo sono loro stessi contaminati, ma contaminano gli altri con la propria influenza.” (Meyer)

e. Guardatevi dai cattivi operai: È una descrizione delle azioni di questi legalisti (cattivi operai), ma è anche un’espressione contro l’enfasi che questi pongono sulla giustizia davanti a Dio ricercata per mezzo delle opere. Paolo concede loro il titolo di operai, ma li definisce cattivi operai.

i. Cattivi operai: “Queste persone sono gli “Eccentrici” delle nostre Chiese; introducono mode e passatempi, danno eccessiva importanza alle sciocchezze, seguono ogni nuova teoria e stranezza a scapito della verità e dell’amore.” (Meyer)

f. Guardatevi da quelli che si fanno mutilare: Si tratta di un altro riferimento severo all’insistenza di quei giudei legalisti che esigevano la circoncisione per i gentili che volevano diventare cristiani. La esigevano perché ritenevano che, per diventare cristiani, bisognasse diventare innanzitutto giudei.

i. “Non rinnegavano che Gesù fosse il Messia o che il Suo Vangelo fosse la potenza di Dio per la salvezza, ma insistevano sul fatto che i credenti gentili potevano godere appieno dei privilegi del Vangelo solo attraverso la Legge di Mosè.” (Meyer)

ii. Ad ogni modo, Paolo non vedeva la loro insistenza alla circoncisione come qualcosa di meraviglioso o nobile; la considerava piuttosto un esempio orribile di mutilazione. Maclaren immagina Paolo esprimere il concetto in questo modo: “Non li chiamerò circoncisi, perché non lo sono; sono stati solamente sfregiati e mutilati, si tratta semplicemente di una menomazione della carne”.

iii. Martin riguardo a mutilare: “Con un gioco di parole e in maniera derisoria, lo considera nient’altro che un taglio, katatome, ovvero la mutilazione del corpo in uso nelle pratiche pagane, proibite in Levitico 21:5”.

2. (3-4) Paolo definisce la vera circoncisione.

I veri circoncisi infatti siamo noi che serviamo Dio nello Spirito e ci gloriamo in Cristo Gesù senza confidarci nella carne, benché io avessi di che confidare anche nella carne; se qualcuno pensa di avere di che confidare, io ne ho molto di più:

a. I veri circoncisi infatti siamo noi: I legalisti giudei si considerano gli unici veri circoncisi e giusti davanti a Dio; Paolo dichiara, invece, che i veri circoncisi sono lui e i suoi imitatori.

b. Che serviamo Dio nello Spirito: Questa è la definizione di vera circoncisione. Essi servono Dio nello Spirito, in contrapposizione all’adorazione esteriore e carnale enfatizzata dai legalisti.

i. “‘Serviamo’ è la traduzione della parola greca che fa riferimento al servizio svolto per Geova dal Suo popolo speciale, gli ebrei. Un ebreo si sarebbe scandalizzato dell’applicazione di questo termine ai gentili.” (Wuest)

c. Ci gloriamo in Cristo Gesù: Anche questa è una caratteristica dei veri circoncisi. La loro gioia non si trova nella loro capacità di osservare la legge o di essere giustificati mediante la legge. La loro gioia è Gesù e Gesù soltanto.

d. Senza confidarci nella carne: Questa è la terza caratteristica dei veri circoncisi, i quali non confidano nella propria capacità di rendersi giusti davanti a Dio mediante opere esteriori (la carne), ma ripongono la loro unica fiducia in Gesù.

e. Benché io avessi di che confidare anche nella carne… io ne ho molto di più: Paolo sapeva di essere molto più qualificato di quanto lo fossero i suoi oppositori legalisti per quanto riguarda la giustificazione mediante l’osservanza delle legge.

i. È curioso che coloro che promuovono l’idea di avere fiducia nelle opere della carne sono spesso gli stessi ad essere i meno qualificati a poter avere questa fiducia. Il motivo è il principio spiegato da Paolo in Colossesi 2:23 – Queste cose hanno sì qualche apparenza di sapienza nella religiosità volontariamente scelta, nella falsa umiltà e nel trattamento duro del corpo, ma non hanno alcun valore contro le intemperanze carnali.

3. (5-6) I motivi di Paolo per cui avrebbe potuto confidare nella carne.

Sono stato circonciso l’ottavo giorno, sono della nazione d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo di Ebrei; quanto alla legge, fariseo, quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile.

a. Circonciso l’ottavo giorno…: Prima di tutto, Paolo fa un elenco di quattro caratteristiche possedute sin dalla nascita, tutte ragioni per cui avrebbe potuto confidare nella carne.

·Paolo è stato circonciso l’ottavo giorno come prescritto in Levitico 12:3.

·Paolo era della nazione d’Israele, un discendente di Abrahamo, Isacco e Giacobbe, e pertanto un erede del patto che Dio fece con loro.

·Paolo era della tribù di Beniamino, una tribù eminente. Beniamino si era contraddistinto per aver dato a Israele il suo primo re, Saul (1 Samuele 9:1-2). Era la tribù che si schierò con la tribù fedele di Giuda quando Israele si divise in due nazioni al tempo di Roboamo (1 Re 12:21). Era anche la tribù nei cui confini si trovava la città di Gerusalemme (Giudici 1:21).

·Paolo era Ebreo di Ebrei. Questo lo distingueva dagli altri giudei che avevano abbracciato la cultura greca diffusasi nel Mediterraneo. A quei tempi, molti giudei si vergognavano della propria cultura e cercavano di vivere e comportarsi il più possibile come greci, al punto tale da farsi ripristinare esteticamente o nascondere la loro circoncisione affinché potessero godere dei bagni pubblici romani senza essere riconosciuti. Al contrario, Paolo fu cresciuto dai propri genitori come Ebreo di Ebrei.

b. Quanto alla legge: Successivamente, Paolo elenca tre aspetti che fece propri per convinzione e scelta personale, tutte ragioni per cui avrebbe potuto confidare nella carne.

·Quanto alla legge, Paolo era un fariseo. Questo ci capire che non solo Paolo apparteneva ad un popolo d’élite (gli ebrei), ma anche ad una setta d’élite (i farisei), i cui membri erano conosciuti per la loro devozione scrupolosa alla legge di Dio. “Non c’erano molti farisei, il loro numero non arrivò mai a più di seimila, ma erano gli atleti spirituali del giudaismo. Il loro stesso nome significa I Separati. Si separavano dalla vita e dalle faccende comuni per fare dell’osservanza di ogni più piccolo dettaglio della Legge il loro unico obiettivo” (Barclay). Il profondo interesse che i farisei nutrivano per l’osservanza della legge si legge in passaggi come Matteo 23:23.

·Quanto allo zelo, persecutore della chiesa. Paolo non era soltanto un oppositore intellettuale dei filoni di pensiero considerati eresie dal giudaismo, ma le combatteva – anche nella sua cecità verso Dio. L’osservazione di Paolo che gli ebrei del tempo avevano lo zelo per Dio, ma non secondo conoscenza (Romani 10:2) valeva anche per la sua stessa vita prima che Dio lo confrontasse sulla via di Damasco.

·Quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Questo lascia intendere che Paolo aveva raggiunto lo standard di giustizia accettato tra gli uomini dei suoi giorni, sebbene fosse uno standard non all’altezza dello standard santo di Dio. Proprio per il modo in cui la legge veniva interpretata e insegnata, c’erano coloro che si illudevano di essere veramente irreprensibili, come il giovane ricco (Luca 18:18-23).

i. In parole povere, se qualcuno avesse potuto dichiarare di poter piacere a Dio attraverso l’osservanza della legge e delle opere della carne, quello sarebbe stato proprio Paolo. Era molto più qualificato dei suoi oppositori legalisti per fare tale dichiarazione.

4. (7) Paolo rigetta qualsiasi tipo di fiducia nella carne.

Ma le cose che mi erano guadagno, le ho ritenute una perdita per Cristo.

a. Le ho ritenute una perdita per Cristo: Chiunque tra gli insegnanti corrotti da cui Paolo mette in guardia sarebbe orgoglioso di poter sfoggiare un curriculum come quello di Paolo. Eppure, Paolo lo dice molto chiaramente: le ho ritenute una perdita per Cristo.

i. “La parola ‘guadagno’ in greco è al plurale, cioè ‘guadagni’. … ‘Perdita’ invece è al singolare. Gli svariati guadagni vengono considerati un’unica perdita.” (Wuest)

ii. “Era bravo in aritmetica spirituale e molto attento nei suoi calcoli. Era cauto con i suoi resoconti e osservava con occhio diligente le sue perdite e i suoi guadagni.” (Spurgeon)

b. Le ho ritenute una perdita: Paolo ha ritenuto tutte queste cose una perdita. Non erano una perdita in sé e per sé, ma ha scelto di considerarle come tali.

i. Queste cose erano ritenute una perdita non tanto perché fossero pericolose per Paolo, ma perché erano cose attraverso cui Paolo aveva cercato di compiacere Dio con gli sforzi della propria carne. Prima che Paolo diventasse cristiano, era convinto che queste lo rendessero efficace nel suo tentativo di piacere a Dio mediante le opere.

ii. Possiamo affermare che l’atteggiamento di Paolo era lo stesso descritto da Gesù nella parabola della perla di gran valore (Matteo 13:45-46).

B. La completa fiducia di Paolo in una relazione vivente con Gesù Cristo.

1. (8) Il guadagno di Paolo in Gesù Cristo.

Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho perso tutte queste cose e le ritengo come tanta spazzatura per guadagnare Cristo,

a. Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita: Non solo Paolo considerava il proprio curriculum religioso una perdita, ma riteneva tutte queste cose essere una perdita – le ha ritenute una perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù.

i. Anzi: “La traduzione di cinque particelle, che letteralmente sono tradotte ‘davvero, anzi, dunque, almeno, anche’, dimostra la forza e la passione della convinzione di Paolo.” (Wuest)

ii. Non è che quelle cose non avessero alcun valore in sé stesse, ma erano nulla paragonate alla grandezza dell’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù.

iii. Paolo mette qui la relazione personale con Gesù Cristo al centro della vita cristiana. Con gioia accetta la perdita di tutte le altre cose di fronte alla grandezza di questa relazione personale.

iv. In Filippesi 3:7 Paolo dice di aver ritenuto; in questo versetto aggiunge ritengo anche. La prima considerazione è avvenuta al momento della sua conversione; la seconda – circa 30 anni dopo – in una prigione romana. Dopo tutto quello che ha sperimentato, continua a ritenere che valga ancora la pena rinunciare ad ogni cosa per seguire Gesù.

v. “Dopo oltre 20 anni di esperienza, Paolo ha avuto l’opportunità di revisionare il proprio bilancio, esaminare le proprie valutazioni e controllare la correttezza dei propri calcoli. Qual è stato il problema della sua ultima indagine? Come appaino le questioni nel suo ultimo inventario? Egli, con un’enfasi speciale, esclama: ‘Sì, senza alcun dubbio; considero tutte le cose soltanto una perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù mio Signore’.” (Spurgeon)

b. Per il quale ho perso tutte queste cose: Considerare tutte queste cose una perdita non era semplicemente un esercizio spirituale interiore. Paolo aveva veramente perso tutte queste cose per guadagnare Cristo.

i. Ciò viene dimostrato dal luogo e dalle circostanze in cui Paolo ha scritto questa lettera – una prigione romana, dove veramente poteva dire di aver perso tutte queste cose.

c. Le ritengo come tanta spazzatura: Paolo usa a questo punto un linguaggio forte. Letteralmente, le ritiene come tanti escrementi – come tanto sterco: non solo insignificanti, ma offensive.

i. Il termine in greco antico tradotto con spazzatura aveva due significati. Poteva descrivere gli escrementi del corpo o gli avanzi di cibo che erano buoni solo per essere gettati ai cani. Possiamo presumere che Paolo volesse intendere o l’uno o l’altro in questo contesto.

ii. “La parola [spazzatura] si riferisce ai rifiuti più ignobili o a uno scarto qualsiasi; si tratta degli escrementi peggiori. Il termine mostra quanto l’Apostolo considerasse assolutamente insignificante e inutile – alla luce della salvezza – ogni cosa, eccetto il Vangelo di Gesù.” (Clarke)

2. (9) I benefici spirituali del suo guadagno in Gesù Cristo.

E per essere trovato in lui, avendo non già la mia giustizia che deriva dalla legge, ma quella che deriva dalla fede di Cristo: giustizia che proviene da Dio mediante la fede,

a. E per essere trovato in lui: Poiché Paolo era in lui, poteva rinunciare alla sua giustizia e vivere per mezzo della giustizia che proviene da Dio mediante la fede. Il fondamento della sua vita spirituale si trovava in ciò che Gesù aveva fatto per lui e non in quello che lui aveva fatto, stava facendo o avrebbe fatto in futuro per Gesù.

b. Giustizia che proviene da Dio mediante la fede: Qui Paolo mette in risalto la grande differenza che intercorre tra la relazione legalista enfatizzata dai suoi oppositori e il suo legame personale con Gesù Cristo. La differenza sta tra il vivere e il confidare nella propria giustizia e il vivere e il confidare nella giustizia di Dio che deriva dalla fede di Cristo.

i. “Egli rinnega la propria giustizia con la stessa passione con cui altri uomini rinnegano i propri peccati e ha una grande considerazione della giustizia che Cristo ha operato per noi, che diventa nostra mediante la fede.” (Spurgeon)

3. (10-11) L’esperienza di Paolo di una relazione personale con Gesù.

Per conoscere lui, Cristo, la potenza della sua risurrezione e la comunione delle sue sofferenze, essendo reso conforme alla sua morte, se in qualche modo possa giungere alla risurrezione dai morti.

a. Per conoscere lui: È la semplice richiesta del cuore di Paolo, una preghiera sconosciuta al legalista, che deve necessariamente concentrarsi sulla propria prestazione e sulla propria condizione per trovare una sorte di pace con Dio. Paolo però voleva Gesù, non sé stesso.

i. Conoscere Gesù non è lo stesso di conoscere la storia della Sua vita; non è lo stesso di conoscere le dottrine corrette che Lo riguardano; non è lo stesso di conoscere il Suo esempio morale né di conoscere la grande opera che ha compiuto per noi.

·Possiamo dire di conoscere qualcuno perché siamo in grado di riconoscerlo: sappiamo distinguere le differenze tra lui e le altre persone quando messi a confronto.

·Possiamo dire di conoscere qualcuno perché abbiamo familiarità con quello che fa; conosciamo il panettiere perché è da lui che ci procuriamo il pane.

·Possiamo dire di conoscere qualcuno perché conversiamo con lui; siamo in buoni rapporti.

·Possiamo dire di conoscere qualcuno perché passiamo tempo a casa sua e con la sua famiglia.

·Possiamo dire di conoscere qualcuno perché abbiamo preso un impegno con lui e viviamo con lui ogni giorno, condividendo ogni circostanza come nel matrimonio.

·Eppure, oltre tutto questo, c’è un modo di conoscere Gesù Cristo che include tutti questi punti, ma va ben oltre.

ii. “Mi dicono che è un raffinatore, colui che purifica dalle macchie; Egli mi ha lavato nel Suo sangue prezioso ed è così che Lo conosco. Mi dicono che veste gl’ignudi; Egli mi ha coperto con una veste di giustizia ed è così che Lo conosco. Mi dicono che è un demolitore e che spezza le catene; Egli ha dato libertà alla mia anima e per questo lo conosco. Mi dicono che è un re e che regna sopra il peccato; Egli ha sottomesso i miei nemici sotto i suoi piedi e lo conosco con quel carattere. Mi dicono che è un pastore; lo conosco perché sono una sua pecora. Mi dicono che è una porta: sono entrato attraversi di Lui e lo conosco come tale. Mi dicono che è cibo; il mio spirito si ciba di Lui come pane dal cielo e, perciò, è così che Lo conosco.” (Spurgeon)

b. La potenza della sua risurrezione: Conoscere Gesù significa conoscere la Sua potenza, la nuova vita che ci viene impartita ora, non quando moriamo.

i. “Paolo vuole conoscere, per esperienza, la potenza della risurrezione di Cristo. In altre parole, vuole vedere la stessa potenza che ha risuscitato Cristo dai morti permeare il suo essere, vincere il peccato nella sua vita e produrre le virtù cristiane.” (Wuest)

ii. “Tuttavia, non credo che qui Paolo stia pensando tanto alla potenza mostrata nella risurrezione, quanto alla potenza che proviene da essa, che viene giustamente chiamata ‘la potenza della Sua risurrezione’. Questo è ciò che l’apostolo desidera apprendere e conoscere.” (Spurgeon)

·La potenza della Sua risurrezione è una potenza comprovante. È la prova e il sigillo che tutto ciò che Gesù ha detto e fatto è vero.

·La potenza della Sua risurrezione è una potenza giustificante. È la ricevuta e la prova che il sacrificio della croce è stato accettato come pagamento completo.

·La potenza della Sua risurrezione è una potenza vivificante. Vuol dire che coloro che sono legati a Gesù Cristo ricevono la stessa vita di risurrezione.

·La potenza della Sua risurrezione è una potenza consolatrice e confortante. Ci promette che i nostri amici e i nostri cari che sono morti in Cristo vivono con Lui.

c. E la comunione delle sue sofferenze: Conoscere Gesù significa anche conoscere la comunione delle sue sofferenze; fa parte del seguire Gesù e dell’essere in Cristo. Possiamo dire che la sofferenza è parte della nostra eredità quali figli di Dio; abbiamo la possibilità di far parte della famiglia della sofferenza: E se siamo figli, siamo anche eredi, eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pure soffriamo con lui per essere anche con lui glorificati (Romani 8:17).

d. Essendo reso conforme alla sua morte: Ci ricorda che essere in Cristo vuol dire anche essere “nella” Sua morte. Queste parole avevano una rilevanza particolare per Paolo, che era prossimo a un probabile martirio.

e. Se in qualche modo possa giungere alla risurrezione dai morti: Paolo non si fissava in maniera macabra sulla sofferenza e sulla morte nella vita cristiana. Anzi, aveva realizzato che queste erano necessarie per giungere alla vita di risurrezione adesso e alla risurrezione dai morti alla fine.

i. Per Paolo era un obiettivo che valeva la pena raggiungere in qualunque modo. Valeva la pena soffrire, considerata la grandezza della meta – la risurrezione dai morti.

ii. Possa giungere: Paolo non aveva dubbi riguardo alla propria salvezza, anche se ne desiderava grandemente il completamento per mezzo della risurrezione del suo corpo. Era qualcosa che ancora non aveva ottenuto e che bramava.

iii. Bisogna ricordare che Paolo ha scritto tutto ciò mentre era in custodia dei soldati romani, avendo sperimentato molta più sofferenza di quanta noi ne sperimenteremo mai. Non si trattava semplicemente di idee o teorie teologiche, ma di un legame vissuto con Dio.

4. (12-14) Il futuro della relazione di Paolo con Gesù Cristo.

Non che io abbia già ottenuto il premio, o sia già arrivato al compimento, ma proseguo per poter afferrare il premio, poiché anch’io sono stato afferrato da Gesù Cristo. Fratelli, non ritengo di avere già ottenuto il premio, ma faccio una cosa: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso le cose che stanno davanti, proseguo il corso verso la mèta, verso il premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù.

a. Non che io abbia già ottenuto: Paolo scrive con una tale maturità e purezza spirituale da farci pensare che egli creda di aver prevalso su ogni difficoltà spirituale e veda sé stesso prossimo alla perfezione. Eppure, ci garantisce che non è così. Non c’è alcun perfezionismo in Paolo.

i. Purtroppo, per molti leader cristiani è normale sviluppare l’atteggiamento dell’aver già ottenuto. Senza pronunciare queste parole, propongono l’immagine di un trionfo costante, dando l’idea che abbiano già ottenuto e siano arrivati al compimento.

ii. “Fratelli, ci sarebbe molto salutare, in qualità di ministri, leggere biografie come quella di M’Cheyne. Leggetela bene, se siete nel ministero; farà esplodere i vostri palloni gonfiati. Sperimenterete un collasso terribile. Prendete come esempio la vita di Brainerd tra gli indiani o di Baxter nella nostra stessa terra. Pensate alla santità di George Herbert, alla devozione di Fletcher o allo zelo di Whitfield. Come ti senti dopo aver letto delle loro vite? Non ti guarderai forse intorno per trovare un nascondiglio a motivo della tua insignificanza?” (Spurgeon)

iii. “Proprio come un piccolo bambino è un essere umano completo, ma è ancora lontano dall’essere perfetto nel suo sviluppo come uomo, così un vero figlio di Dio è completo in tutte le sue parti, sebbene non sia ancora perfetto in tutti gli stadi dello sviluppo nella fede.” (Muller)

iv. “Mentre l’opera di Cristo per noi è perfetta e sarebbe presuntuoso pensare di potervi aggiungere qualcosa, l’opera dello Spirito Santo in noi non è completa, viene portata avanti in noi giorno dopo giorno e continuerà ad esserlo per tutta la durata delle nostre vite.” (Spurgeon)

b. Ma proseguo: Poiché Paolo sa di non aver raggiunto il traguardo, c’è solo un’opzione per lui. Deve proseguire. Non può più voltarsi indietro.

i. Quando la Spagna era alla guida del mondo (nel XV secolo), le sue monete riflettevano la sua arroganza nazionale, sulle quali erano incise le parole Non Plus Ultra, “Oltre non c’è niente” – indicando che la Spagna avesse il primato nel mondo. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo, realizzò di non essere al centro dell’universo, così cambiò l’iscrizione sulle proprie monete in Plus Ultra, ovvero “Oltre c’è di più”. Similmente, alcuni cristiani vivono le proprie vite dicendo: “Oltre non c’è niente”, altri: “Oltre c’è di più”.

ii. Qui è dove la fede come quella di un fanciullo incontra la vera maturità. Un bambino non vede l’ora di crescere e di diventare sempre più maturo.

iii. Ma proseguo indica che Paolo ha messo la propria mano all’aratro, rifiutandosi di guardare indietro (Luca 9:62).

c. Per poter afferrare il premio, poiché anch’io sono stato afferrato da Gesù Cristo: Paolo proseguiva verso quello che Gesù voleva. I suoi sforzi erano rivolti all’adempimento della volontà di Dio, non la sua.

i. Nell’espressione “per poter afferrare il premio”, Paolo usa un linguaggio intenso. “Il termine ‘afferrare’ deriva dalla stessa parola greca tradotta con ‘ottenuto’, preceduto però da una preposizione che significa ‘verso il basso’. Egli vuole afferrarlo e tirarlo giù verso di sé, come un giocatore di football che non solo vuole marcare l’avversario, ma lo blocca a terra e lo fa suo.” (Wuest)

ii. Paolo inizia questo versetto affermando di essere stato afferrato da Gesù Cristo. Si tratta di un concetto importante; eppure, molti cristiani rispondono a questo con passività. Pensano: “Gesù mi ha afferrato; quindi, ecco fatto. Sono cristiano e andrò in cielo”. Paolo mostra un atteggiamento diverso; è determinato ad afferrare il premio, per il quale è stato anche afferrato da Gesù. Pertanto, la domanda da porre è la seguente: “Perché Gesù ha afferrato Paolo?”

·Gesù ha afferrato Paolo per trasformarlo in un uomo nuovo (Romani 6:4) – così Paolo ha afferrato quest’opera di conversione di Gesù per vederla totalmente compiuta nella sua vita.

·Gesù ha afferrato Paolo per conformarlo all’immagine di Gesù Cristo (Romani 8:29) – così Paolo ha afferrato quest’opera di trasformazione per vedere la natura di Gesù dentro di sé.

·Gesù ha afferrato Paolo per renderlo un testimone (Atti 9:15) – così Paolo ha afferrato sia l’esperienza di Gesù che la testimonianza di quell’esperienza.

·Gesù ha afferrato Paolo per renderlo uno strumento per la conversione di altri (Atti 9:15) – così Paolo ha afferrato il compito di portare altri a Gesù.

·Gesù ha afferrato Paolo per condurlo nella sofferenza (Atti 9:16) – così Paolo ha afferrato anche quest’opera di Dio nella sua vita, col desiderio di conoscere Gesù nella comunione delle Sue sofferenze.

·Gesù ha afferrato Paolo affinché l’Apostolo giungesse alla risurrezione dai morti (Filippesi 3:11) – così Paolo ha afferrato quella speranza celeste.

d. Il premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù: Paolo era concentrato su una cosa sola e non avrebbe permesso a quelle cose che stanno indietro di distrarlo. Ha proseguito con perseveranza verso il premio.

i. Molte volte lasciamo alle cose che stanno indietro di distrarci, siano esse buone o cattive. Spesse volte tenere lo sguardo rivolto al passato non ci permette di guardare verso ciò che Dio ha per noi nel futuro.

ii. È un inganno vivere nel passato o nel futuro; Dio vuole che proseguiamo nel presente, perché è nel presente che l’eternità ha un impatto su di noi. Paolo sapeva che una corsa è vinta solo nel momento in cui viene vinta, quindi nel presente, non nel passato né nel futuro.

e. Proseguo il corso verso la meta, verso il premio della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù: Il premio è la suprema vocazione di Dio. Il premio è la vocazione stessa, non i benefici che derivano da essa o da altre cose. Il premio è essere in grado di correre la corsa, lavorare con Dio come collaboratori per adempiere l’opera del Suo regno.

i. “È una suprema vocazione perché viene dall’alto, da Dio; è stata concepita ed emanata dal Suo cuore. È una suprema vocazione perché è degna di Dio. È una suprema vocazione perché è molto al di sopra degli ideali degli uomini… Inoltre, è una suprema vocazione perché ci richiama al luogo in cui Cristo è seduto, alla destra di Dio.” (Meyer)

ii. Poiché si tratta di una vocazione tanto gloriosa, vale la pena protendersi per afferrarla. “La parola greca sottolinea i grandi sforzi affrontati durante una corsa; ogni muscolo e ogni nervo sono sotto stress, impiegando ogni particella di questa forza nella corsa. Ha corso per tutta la vita e ha corso per la sua vita.” (Clarke)

f. Della suprema vocazione di Dio in Cristo Gesù: Come ogni altra cosa, la suprema vocazione di Dioè solamente in Cristo Gesù. I legalisti potevano asserire di seguire la suprema vocazione di Dio, ma di certo non lo facevano in Cristo Gesù; anzi, facevano affidamento sugli sforzi della propria carne.

5. (15-16) Paolo esorta i Filippesi ad avere lo stesso atteggiamento.

Quanti siamo perfetti, abbiamo dunque questi pensieri; e se voi pensate altrimenti in qualche cosa, Dio vi rivelerà anche questo. Ma al punto in cui siamo arrivati, camminiamo secondo la stessa regola di condotta in pieno accordo.

a. Quanti siamo perfetti, abbiamo dunque questi pensieri: Coloro che sono veramente perfetti e maturi hanno questi pensieri. Se non li hanno, Paolo confida che Dio rivelerà loro la necessità di averli.

b. Dio vi rivelerà anche questo: Paolo mostra grande fiducia nella capacità del Signore di prendersi cura del Suo stesso popolo. Il suo atteggiamento non era quello che, se egli non fosse stato in grado di convincerli, allora nessuno ci sarebbe mai riuscito.

c. Ma al punto in cui siamo arrivati, camminiamo secondo la stessa regola di condotta:Paolo non avrebbe permesso alla mancanza di intendimento di fornire una scusa alle persone per non fare ciò che egli sapeva essere la volontà del Signore. Ciò che non sappiamo non può mai diventare una scusa per non adempiere ciò che sappiamo di dover fare.

d. In pieno accordo: Parte del fare ciò che sappiamo è essere in pieno accordo. Si tratta di una chiamata all’unità (un’unità della verità, contro le possibili divisioni causate dai legalisti) che ci riporta a Filippesi 2:1-2.

i. I problemi riguardanti l’unità che i Filippesi stavano affrontando non scaturivano da grossi problemi con la carnalità, come invece lo era per i Corinzi (1 Corinzi 3:1-4). Piuttosto, sembrava essere un pericolo causato dalla pressione proveniente sia dall’esterno (Filippesi 1:27-30) che dall’interno (Filippesi 3:2). Paolo voleva assicurarsi che tale pressione li spingesse a stare insieme, invece che dividerli.

C. Proseguire il cammino.

1. (17) I buoni esempi di proseguire nel cammino: Paolo e altri.

Siate miei imitatori, fratelli, e considerate coloro che camminano così, secondo l’esempio che avete in noi.

a. Siate miei imitatori: Non dobbiamo pensare che qui Paolo parlasse in maniera egocentrica. Sapeva di non essere un esempio perfetto o senza peccato, ma rimaneva comunque un buon esempio. Poteva dire ciò che aveva detto anche in 1 Corinzi 11:1 – Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo.

i. Abbiamo bisogno di esempi concreti. Pur essendo sbagliato mettere la propria fiducia nell’uomo, sarebbe da ipocriti per qualsiasi cristiano dire: “Fa ciò che dico, non quello che faccio”.

b. E considerate coloro che camminano così: Allo stesso modo, Paolo non è così orgoglioso da pensare di essere l’unico a poter dare un tale esempio. Dice ai Filippesi di considerare coloro che camminano nella maniera che ha appena descritto, evidenziando che i Filippesi hanno un esempio da seguire in noi (e non in Paolo soltanto).

2. (18-19) I cattivi esempi: i nemici della croce.

Poiché molti, dei quali vi ho spesse volte parlato, e anche al presente ve lo dico piangendo, camminano da nemici della croce di Cristo, la cui fine è la perdizione, il cui dio è il ventre e la cui gloria è a loro vergogna; essi hanno la mente rivolta alle cose della terra.

a. Poiché molti… camminano: Con immensa tristezza Paolo realizza che ci sono molti che camminano in una maniera contraria ai suoi insegnamenti. Definisce queste persone nemici della croce di Cristo.

i. I nemici della croce erano in realtà l’opposto dei legalisti, che celebravano la propria presunta libertà in Cristo fino a dare adito alla loro carne.

ii. Paolo ha dovuto contendere con persone di questo tipo in 1 Corinzi 6:12-20 e Romani 6, i quali pensavano che la salvezza fosse indipendente dal ravvedimento e dalla conversione, e non importava quale uso si facesse del proprio corpo, purché l’anima fosse salvata.

iii. Quando diciamo che gli uomini sono nemici della croce, non intendiamo nemici di una sua rappresentazione fisica. Vuol dire che sono nemici della verità biblica dell’espiazione che Gesù ha compiuto per noi sulla croce e la sua costante potenza ed efficacia nella nostra vita.

iv. Queste persone erano veramente nemici della croce di Cristo, i quali non volevano seguire Gesù prendendo la Sua croce di rinuncia a sé stessi (Matteo 16:24-26).

b. Anche al presente ve lo dico piangendo: L’opera e il fine di questi nemici erano che, nel disprezzare la santità di Dio, alimentavano le accuse dei legalisti, i quali accusavano Paolo di predicare una grazia scadente che non richiedeva alcun impegno da parte del credente. Per questo Paolo si rattristava tanto ai loro insegnamenti.

i. Spurgeon pensava che Paolo avesse pianto per tre ragioni. La prima, per l’iniquità dei nemici della croce di Cristo. La seconda, per le gravi conseguenze dalla loro condotta. L’ultima, a causa del loro destino.

ii. “Non ho mai letto che l’apostolo piangesse quando veniva perseguitato. Sebbene avessero fatto dei solchi nella sua schiena con un aratro, credo che nemmeno una lacrima sia mai spuntata dai suoi occhi mentre i soldati lo flagellavano. Anche quando si trovava in prigione, leggiamo che cantò, mai che si lamentò. Non credo che non abbia mai pianto per le sofferenze o per i pericoli a cui fu esposto per amore di Cristo. Io lo definisco un dolore straordinario, perché l’uomo che piangeva non era un rammollito, e anche durante prove atroci raramente versava una lacrima.” (Spurgeon)

iii. “I professori di religione, che vanno in chiesa, ma vivono vite malvagie, sono i peggiori nemici della croce di Cristo. Costoro sono gli uomini che portano lacrime agli occhi del ministro; sono coloro che spezzano il suo cuore; sono i nemici della croce di Cristo.” (Spurgeon)

c. La cui fine è la perdizione: Il termine perdizione è la stessa parola che troviamo in altri passaggi (come Filippesi 1:28). Può fare riferimento alla loro condanna finale o all’attuale distruzione delle loro vite. La loro condanna finale è probabilmente l’interpretazione più accettata.

d. Il cui dio è il ventre: È una descrizione dell’idolatria di questi nemici. Non significa necessariamente che si concentrassero particolarmente su ciò che mangiavano, ma qui ventre è un riferimento più ampio alla gratificazione sensuale in generale. Vivono secondo i piaceri del corpo, della mente e dell’anima.

e. La cui gloria è a loro vergogna: Ciò dimostra le priorità ribaltate di questi nemici. Si vantavano di cose per cui avrebbero dovuto provare vergogna.

f. Essi hanno la mente rivolta alle cose della terra: Questo dà indicazione di quale fosse il fulcro delle loro vite. Non volevano compiacere e adorare Dio, ma volevano progredire in questo mondo. Il loro atteggiamento era lo stesso del ricco stolto in Luca 12:16-21.

3. (20) La nostra cittadinanza e il nostro Signore.

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli, da dove aspettiamo pure il Salvatore, il Signor Gesù Cristo,

a. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli: Abbiamo bisogno di comprendere ciò che una tale affermazione significasse per i Filippesi, che davano grande valore alla propria cittadinanza romana. Proprio come i Filippesi si consideravano cittadini di Roma ed erano sottoposti alle leggi e alle tradizioni romane (benché fossero lontani da Roma), similmente i cristiani dovrebbero considerarsi cittadini del cielo.

i. Una parafrasi della frase cittadinanza è nei cieli è la seguente: “La nostra casa è nei cieli e qui sulla terra siamo solo una colonia di cittadini celesti”. Paolo sta dicendo: “Come i coloni romani non dimenticavano mai la propria appartenenza a Roma, così voi non dovete mai dimenticare che siete cittadini del cielo; la vostra condotta deve rispecchiare la vostra cittadinanza.” (Barclay)

ii. Se siamo cittadini del cielo, significa che siamo dei forestieri con residenza sulla terra. Gli stranieri si riconoscono ovunque vadano. Similmente, i cristiani devono contraddistinguersi per la loro cittadinanza celeste in modo da far risaltare la loro diversità.

·Gli stranieri dovrebbero sforzarsi di fare il bene nel paese in cui risiedono.

·Gli stranieri non dovrebbero cercare di interferire nelle questioni del paese in cui risiedono.

·Gli stranieri hanno tanti privilegi quanti doveri; non sono sottoposti agli stessi obblighi dei cittadini del paese in cui risiedono.

·Gli stranieri non hanno i requisiti per ricevere premi e riconoscimenti come i cittadini del paese in cui risiedono.

·Gli stranieri non dovrebbero concentrarsi sull’accumulo di ricchezze nel paese in cui risiedono.

iii. Inoltre, abbiamo determinate caratteristiche quali cittadini del cielo.

·In qualità di cittadini, siamo sottoposti al governo celeste.

·In qualità di cittadini, condividiamo gli onori del cielo.

·In qualità di cittadini, abbiamo diritti di proprietà in cielo.

·In qualità di cittadini, godiamo delle gioie del cielo.

·In qualità di cittadini del cielo, amiamo il cielo e ne siamo legati.

·In qualità di cittadini del cielo, ci teniamo in comunicazione con la nostra terra natia.

iv. “Con quanto sentimento i tedeschi cantano della cara terra dei loro padri; ma non possono, anche con tutto il loro patriottismo, battere la felicità del cuore inglese quando questo pensa alla propria terra natia. Anche lo scozzese, ovunque si trovi, ricorda la terra “dalla vegetazione dorata e dai boschi selvaggi’. L’irlandese, allo stesso modo, potrebbe vivere ovunque, ma penserebbe comunque all’“Isola Smeraldo”, la prima gemma dei mari. È giusto che il patriota ami il proprio paese. Il nostro amore non arde altrettanto ferventemente per il cielo?” (Spurgeon)

v. C’è un contrasto importante tra i cittadini della terra descritti in Filippesi 3:18-19 e i cittadini dei cieli descritti in Filippesi 3:20-21.

b. Da dove aspettiamo pure il Salvatore: Come i Filippesi avrebbero aspettato con impazienza la visita da parte dell’imperatore di Roma, tanto più i cristiani dovrebbero attendere con impazienza la venuta del proprio Re – Gesù Cristo.

i. Salvatore era un titolo dato ai vari Cesare. Nel 48 a.C. Giulio Cesare fu proclamato “il salvatore universale dell’umanità”. Successivamente diventò un titolo comune assegnato al Cesare in carica. Attribuendo a Gesù il titolo nel contesto della cittadinanza, Paolo gli conferisce un significato più profondo.

c. Il Signor Gesù Cristo: Anche il titolo Signore veniva assegnato al Cesare romano. Non molto tempo dopo i giorni di Paolo, i cristiani cominciarono ad essere martirizzati a causa del loro rifiuto di chiamare Cesare Signore, proclamando che solo Gesù è l’unico Signore.

4. (21) L’opera futura del nostro Salvatore: la trasformazione dei nostri corpi.

Il quale trasformerà il nostro umile corpo, affinché sia reso conforme al suo corpo glorioso, secondo la sua potenza che lo mette in grado di sottoporre a sé tutte le cose.

a. Il quale trasformerà il nostro umile corpo, affinché sia reso conforme al suo corpo glorioso: Il nostro Salvatore può fare e farà qualcosa che nessun Cesare è in grado di compiere. Quando risorgeremo, avremo il medesimo tipo di corpo che Gesù stesso aveva alla Sua risurrezione.

i. Gesù non è semplicemente risuscitato dai morti con lo stesso corpo. Anzi, è risuscitato in un nuovo corpo, simile a quello vecchio ma equipaggiato e adatto per il cielo.

b. Secondo la sua potenza che lo mette in grado di sottoporre a sé tutte le cose: Questo è possibile solo perché l’Iddio che serviamo è onnipotente. Egli è in grado di sottoporre a sé tutte le cose e compiere qualcosa di meraviglioso come la risurrezione dei nostri corpi secondo il modello della risurrezione di Gesù.

i. Gesù può veramente sottoporre tutte le cose. “Possono esserci ancora dei peccati nel tuo cuore che oppongono resistenza al controllo. Fa’ di loro ciò che vuoi, essi continueranno a ad avere la meglio… Ma se cederai il conflitto a Gesù, Egli li soggiogherà; li porterà sotto la Sua mano forte e assoggettatrice. Fatti animo. Ciò che tu non puoi fare, Egli può farlo.” (Meyer)

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