Filippesi 2




Filippesi 2 – Vivere con Umiltà alla Luce dell’Esempio di Umiltà di Gesù

A. Direttive di Paolo ai Filippesi sulla vita comunitaria.

1. (1) Le basi dell’esortazione di Paolo verso i Filippesi.

Se dunque vi è qualche consolazione in Cristo, qualche conforto d’amore, qualche comunione di Spirito, qualche tenerezza e compassione,

a. Dunque: L’inizio di questo capitolo si ricollega alle parole di Paolo in Filippesi 1:27-30, in cui istruisce i Filippesi su come rimanere saldi nel Signore contro i conflitti esterni. Ora dice loro come agire di fronte ai conflitti che si presentano all’interno del corpo di Cristo.

b. Se… vi è qualche: Questa frase introduce le basi dell’esortazione di Paolo all’unità, all’umiltà e all’amore tra i credenti. Il concetto è che, se i cristiani di Filippi hanno ricevuto le cose che Paolo sta per illustrare, hanno pertanto la responsabilità di metterle in pratica.

i. “È estremamente difficile esprimere l’intensità che accompagna queste espressioni; contengono parole che scorrono con una tale commozione; l’apostolo apre il proprio cuore a un popolo che ama con tutto il cuore, un popolo degno persino dell’amore di un apostolo.” (Clarke)

c. Se vi è qualche consolazione in Cristo: Paolo pone questa domanda in forma retorica, sapendo ovviamente che c’è grande consolazione in Cristo. Ogni cristiano dovrebbe conoscere la consolazione di Cristo.

i. In Luca 2:25 leggiamo che uno dei titoli di Gesù quale Messia è la Consolazione d’Israele. In 2 Corinzi 1:5 Paolo può dire: Poiché, come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, così per mezzo di Cristo abbonda pure la nostra consolazione. In 2 Tessalonicesi 2:16 Paolo afferma che Dio ci ha amati e ci ha dato per grazia una consolazione eterna e una buona speranza. Senza ombra di dubbio c’è grande consolazione in Cristo!

ii. “Lo Spirito Santo consola, ma Cristo è la consolazione. Permettetemi di usare questa illustrazione: lo Spirito Santo è il Medico, Cristo la medicina.” (Spurgeon)

d. Se vi è qualche… conforto d’amore: Questa è la seconda domanda retorica di Paolo in questo passaggio, che afferma il grande conforto d’amore. Ogni cristiano dovrebbe sapere cosa vuol dire ricevere questo conforto d’amore da Gesù.

i. 2 Corinzi 1:3 ci dice che Dio è il Dio di ogni consolazione. È impossibile che Egli non possa consolarci e che esistano circostanze in cui la sua consolazione è inefficace. Eppure, questa consolazione va al di là del semplice conforto; è il conforto d’amore.

ii. La parola conforto usata qui deriva dal termine greco paraklesis. Nel Nuovo Testamento questo tipo di conforto ha un’accezione che va oltre la mera solidarietà rassicurante. Richiama più i concetti del fortificare, dell’aiutare e del rinforzare. Il cuore di questa parola viene comunicato dal termine in latino per conforto (fortis), che possiede anche il significato di “coraggioso”. L’amore di Dio nella nostra vita ci rende forti e coraggiosi. Senza ombra di dubbio c’è conforto d’amore!

e. Se vi è… qualche comunione di Spirito: Questa è la terza domanda retorica posta da Paolo in questo contesto. Egli conosceva e dava grande valore alla comunione di Spirito. Ogni cristiano dovrebbe sapere cosa vuol dire avere comunione di Spirito.

i. Comunione deriva dal termine in greco antico koinonia e significa condividere, avere qualcosa in comune. Con lo Spirito di Dio siamo partecipi di una vita che non abbiamo mai conosciuto prima. Lo Spirito Santo riempie, guida e muove le nostre vite in modo potente e prezioso. Senza ombra di dubbio c’è comunione di Spirito!

ii. “Spesso il Signore, con molta grazia, intride la santa comunione del Suo popolo con una dolce e gloriosa rugiada rinfrescante, affinché esso sperimenti il cielo stesso sulla terra.” (Trapp)

f. Se vi è… qualche tenerezza e compassione: L’ultima domanda retorica di Paolo dà per scontato che ogni cristiano conosca, almeno in parte, la tenerezza di Dio e la compassione di Dio.

i. Il modo in cui Paolo espone queste caratteristiche suggerisce che dovrebbero fare tutte parte dell’esperienza cristiana. Per ribadire il suo concetto retorico, avrebbe anche potuto benissimo dire: “Se l’acqua è bagnata, se il fuoco è caldo, se le pietre sono dure” e così via.

ii. Ognuno di questi doni – la consolazione di Cristo, il conforto d’amore, la comunione di Spirito, tenerezza e compassione – ci viene comunicato da Gesù sia in maniera diretta e spirituale, sia attraverso il Suo popolo. Non c’è però alcun dubbio sul fatto che si tratta di doni che i cristiani sono chiamati a sperimentare realmente.

2. (2-4) I dettagli dell’esortazione di Paolo ai Filippesi riguardo all’amore e all’umiltà tra credenti.

Rendete perfetta la mia gioia, avendo uno stesso modo di pensare, uno stesso amore, un solo accordo e una sola mente non facendo nulla per rivalità o vanagloria, ma con umiltà, ciascuno di voi stimando gli altri più di se stesso. Non cerchi ciascuno unicamente il proprio interesse, ma anche quello degli altri.

a. Rendete perfetta la mia gioia: Si tratta di una richiesta personale. Parte della ragione per cui Paolo desiderava che i Filippesi ascoltassero le sue parole era perché sapessero che ciò avrebbe rallegrato l’apostolo che aveva fondato la loro chiesa.

b. Avendo uno stesso modo di pensare, uno stesso amore, un solo accordo e una sola mente: Sono aspetti che insieme comunicano la stessa idea: un’unità profonda, costante e interna tra i Filippesi.

i. L’obiettivo è questa unità. Ciò che segue in Filippesi 2:3-4 è una descrizione di come ottenere e mettere in pratica l’unità menzionata qui in Filippesi 2:2.

c. Non facendo nulla per rivalità: È il primo passo verso questo tipo di unità. Nella carne siamo spesso motivati da rivalità o vanagloria. Gran parte di quello che facciamo non nasce da un sentimento d’amore verso gli altri, ma è basato sul nostro desiderio di “fare carriera” o di “ottenere una promozione” (rivalità).

i. In altre traduzioni rivalità è reso con ambizioni egoistiche, un’espressione che Paolo ritiene importante menzionare. Non ogni ambizione è egoistica, ma esiste anche l’ambizione buona di voler glorificare e servire Dio con tutto ciò che abbiamo.

d. Non facendo nulla per… vanagloria: È il secondo passo verso questo tipo di unità. La vanagloria significa avere un concetto troppo elevato di sé, avere un interesse e una preoccupazione eccessivi a proprio riguardo. Si potrebbe tradurre in maniera più letterale con l’espressione “gloria vuota”.

i. Una delle definizioni di vanagloria è la seguente: “Un’opinione eccessivamente positiva delle proprie abilità, della propria importanza, intelligenza” e così via. Quando viviamo credendo di essere così importanti, o così capaci, o così talentuosi, siamo fuori dalla volontà di Dio; stiamo andando contro l’unità che Paolo ha supplicato i Filippesi e tutti i cristiani di mantenere.

e. Ma con umiltà, ciascuno di voi stimando gli altri più di sé stesso: Il terzo passo verso il tipo di unità descritto in Filippesi 2:2 è in totale contraddizione all’atteggiamento del mondo, perché l’umiltà, secondo la mentalità di questo mondo, è tra le cose meno attraenti.

i. Gli antichi greci consideravano l’umiltà un difetto, non una virtù. “La definizione pagana e mondana di virilità è l’autoaffermazione, l’imposizione della propria volontà sugli altri; poiché a quel tempo le persone si umiliavano solo se costrette, un tale gesto era considerato ignobile [vergognoso]. La definizione etica cristiana di umiltà non poteva essere afferrata dalla mente secolare, perché priva di terreno spirituale.” (Lenski)

ii. “Negli scritti pagani, il termine aveva solitamente una connotazione negativa – ‘abietto, vile’. Nel Nuovo Testamento il suo significato viene nobilitato.” (Wurst)

iii. “L’apostolo sapeva che, per creare armonia, bisogna innanzitutto che nasca l’umiltà. Gli uomini non disputano quando le loro ambizioni sono giunte al termine.” (Spurgeon)

f. Stimando gli altri più di sé stesso: Si tratta di un rimprovero al concetto di autostima proprio della cultura del mondo. La Bibbia ignora completamente sia l’idea che dovremmo – anzi dobbiamo – mantenere un atteggiamento di superiorità in ogni situazione, sia l’idea che questa sia il fondamento per una personalità in salute.

i. Sebbene riconosciamo il valore intrinseco di ogni vita umana, non possiamo negare che la bassa autostima di alcuni trovi una giustificazione e che sia basata sulla realtà. Quando siamo in ribellione contro Dio, è naturale avere bassa autostima.

ii. Stimando gli altri più di noi stessi, avremo come risultato un interesse naturale per i loro bisogni e le loro preoccupazioni. Questo tipo di mentalità protesa verso gli altri porta unità nel popolo di Dio.

iii. Se io stimo te più di me stesso e tu stimi me più di te stesso, accade qualcosa di meraviglioso: viene a crearsi una comunità dove tutti ricevono ammirazione e nessuno è disprezzato.

g. Non cerchi ciascuno unicamente il proprio interesse, ma anche quello degli altri: Il pensiero si completa qui. Sbarazzandoci delle nostre rivalità, della nostra vanagloria e delle nostre tendenze altezzose ed egocentriche, ci verrà naturale avere un maggiore riguardo verso gli interessi e i bisogni altrui.

i. Paolo non dice che sia sbagliato cercare i propri interessi, ma che non dovremmo ricercare unicamente quelli nostri.

B. Gesù, esempio perfetto di umiltà.

Molti considerano Filippesi 2:5-11 un inno della chiesa primitiva che Paolo include nella propria lettera. Alcuni commentatori ne suggeriscono anche la suddivisione in strofe e versi. È possibile, ma non una conclusione necessaria; Paolo stesso era capace di redigere scritti ispirati e poetici (1 Corinzi 13 per esempio). Per ragioni che esamineremo più avanti, questo passaggio è da molti conosciuto come il passaggio kenosis.

1. (5) Paolo mette in pratica la lezione prima di enunciarla.

Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù,

a. Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù: Paolo descriverà nei versetti successivi, in maniera meravigliosamente dettagliata, il sentimento di Gesù. Tuttavia, prima di fornircene la descrizione, ci dice cosa dobbiamo fare di queste informazioni.

i. “In questi versetti Paolo non ci rivela tutto sul sentimento di Cristo. Seleziona determinate qualità del nostro Signore adatte ai bisogni dei Filippesi in quel momento… La mancanza di unità tra i santi di Filippi si trasforma in un’occasione per condividere quello che molto probabilmente è il più grande passaggio cristologico del Nuovo Testamento, che decanta le profondità dell’incarnazione.” (Wuest)

b. Abbiate in voi lo stesso sentimento: È molto facile per noi leggere la seguente descrizione di Gesù e ammirarla da lontano. Dio vuole che ne siamo sbalorditi, ma vuole anche che la consideriamo come qualcosa in cui dobbiamo entrare e che dobbiamo imitare. Abbiate in voi lo stesso sentimento significa che si tratta di qualcosa che dobbiamo scegliere di avere.

i. Bisogna inoltre ricordare che tale sentimento ci viene concesso da Dio. 1 Corinzi 2:16 dice che abbiamo la mente di Cristo. Tuttavia, abbiate lo stesso sentimento ci mostra che è qualcosa in cui dobbiamo scegliere di camminare. Dobbiamo far sì che ciò avvenga.

2. (6a) Gesù era in forma di Dio.

Il quale, essendo in forma di Dio,

a. In forma di Dio: È una descrizione dell’esistenza di Gesù antecedente all’incarnazione. Dobbiamo ricordare che Gesù non cominciò a esistere nella mangiatoia a Betlemme, ma che Egli è il Dio eterno.

b. Essendo: Il termine deriva dal verbo in greco antico huparchein, che “descrive la vera essenza di un essere umano, che non può essere cambiata. Indica quella parte dell’uomo che, in qualsiasi circostanza, rimane la stessa.” (Barclay)

i. “Facendo uso della parola greca tradotta con ‘essendo’, Paolo informa i propri lettori greci che il nostro Signore non smise di possedere l’essenza divina quando venne sulla terra per assumere forma umana… Quest’unica parola è sufficiente a confutare la dichiarazione del Modernismo, il quale afferma che il nostro Signore si sarebbe svuotato della propria Divinità quando diventò Uomo.” (Wuest)

c. Forma: Traduce il termine in greco antico morphe. “Indica sempre una forma che esprime appieno l’essere che ne è alla base… le parole significano ‘l’essere che è alla pari con Dio.’” (Kennedy)

i. “Morphe è la forma essenziale che non subisce mai alterazioni; schema è la forma esteriore che varia nel corso del tempo e delle circostanze.” (Barclay)

ii. “‘Dio’ ha una forma e ‘Gesù Cristo’ esiste in questa forma di Dio.” (Lenski)

iii. Wuest spiega che la parola in greco antico resa con forma è molto difficile da tradurre. Quando noi usiamo la parola forma, pensiamo alla sagoma di un oggetto; il termine in greco antico, invece, non ha questo significato. Ha più l’idea di una modalità o di un’essenza; è la natura essenziale di Dio, senza fare allusione alla forma fisica o all’apparenza. “Perciò, il termine greco per ‘forma’ fa riferimento all’espressione esteriore della natura più profonda di una persona”.

3. (6b) Gesù non si aggrappò ai privilegi della deità.

Non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere uguale a Dio,

a. Non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente: Questa frase nel testo originale trasmette l’idea di qualcosa che viene afferrato o a cui ci si aggrappa. Gesù non si aggrappò alle prerogative o ai privilegi della deità.

i. Wuest definisce il termine in greco antico tradotto con qualcosa a cui aggrapparsi come “un tesoro da tenere stretto e proteggere a qualunque costo”.

b. L’essere uguale a Dio: Gesù non stava cercando di raggiungere l’uguaglianza con il Padre. La possedeva già e scelse di non aggrapparvisi. La natura divina di Gesù non era qualcosa da ricercare o acquisire, ma Gli apparteneva già.

i. Lightfoot scrive che non si tratta di “un premio che non doveva sfuggirgli di mano, di un tesoro da tenere stretto e proteggere a qualunque costo”. Gesù fu disposto a rinunciare ad alcune delle prerogative della divinità per diventare un uomo.

4. (7) Gesù svuotò sé stesso.

Ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini;

a. Ma svuotò sé stesso: Questa è la traduzione più comune (e più conosciuta). Dal termine in greco antico del verbo svuotò (kenosis) si trae l’idea che l’incarnazione di Gesù fu essenzialmente un auto-svuotamento.

i. Dobbiamo fare attenzione quando consideriamo ciò di cui Gesù si svuotò. Paolo ce lo dirà chiaramente nei prossimi versetti, ma non dobbiamo commettere assolutamente l’errore di pensare che Gesù si sia svuotato della propria divinità.

ii. Alcuni sviluppano la teoria kenotica dell’incarnazione fino a dire che Gesù si spogliò di molti aspetti della Sua divinità – come onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, e che subì persino la rimozione della consapevolezza del Suo essere divino. Tuttavia, con l’incarnazione Gesù non diventò (né sarebbe potuto diventare) “meno Dio”. La divinità non gli fu sottratta (benché avesse rinunciato ad alcuni diritti intrinseci della deità); fu piuttosto l’umanità ad essere aggiunta alla Sua natura.

iii. “Nella Sua umiliazione, essendo Dio e pari al Padre, non ci fu alcuna violazione della prerogativa Divina; perché, essendo pari in natura, aveva anche parità di diritti.” (Clarke)

iv. “La Sua superiorità non era vincolata o limitata dal consenso del Padre… il Figlio dell’Altissimo può, a Suo piacimento, rivelare o eclissare il Suo glorioso splendore, trattenere o rilasciare la Sua pienezza, esaltare o abbassare sé stesso rispetto a noi.” (Poole)

v. “Pur essendo un re, depose i simboli della propria regalità, rivestendosi con gli abiti di un mercante; ciononostante, non cessa di essere un re o il più grande in tutto il Suo dominio.” (Poole)

b. Prendendo la forma di servo: Ciò descrive come Gesù si sia svuotato di sé stesso. Sebbene avesse preso la forma di servo, Gesù non si svuotò della Sua divinità, di nessuna della Sue caratteristiche, né della Sua uguaglianza a Dio. Egli svuotò sé stesso per prendere la forma di servo, non semplicemente quella di un uomo.

i. Prendendo (dal termine in greco antico labon) non implica uno scambio, ma un’aggiunta.

c. Divenendo simile agli uomini: Questo descrive ulteriormente il modo in cui Gesù svuotò sé stesso. È possibile pensare a un servo che però non sia simile agli uomini. Gli angeli sono servi, ma non sono simili agli uomini. Anche nelle favole vediamo che il genio di Aladino era un servo, anche se non simile agli uomini.

i. È possibile che la parola simile faccia riferimento semplicemente alla forma esteriore. Sebbene Gesù avesse la forma esteriore di un essere umano, questa rifletteva la Sua vera umanità, che fu aggiunta alla Sua divinità.

ii. Era una somiglianza, una vera somiglianza, non una semplice umanità fantasma come affermato dallo Gnosticismo Docetista.” (Robertson)

5. (8) La portata della kenosis di Gesù.

E, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce.

a. Abbassò sé stesso, divenendo ubbidiente: Gesù abbassò sé stesso quando divenne ubbidiente. Si tratta di qualcosa che Gesù poté sperimentare soltanto lasciando il trono del cielo e facendosi uomo. Quando Dio siede sul trono nella gloria del cielo, non deve ubbidire a nessuno. Gesù dovette lasciare la gloria celeste ed essere trovato nell’esteriore simile ad un uomo per poter diventare ubbidiente.

i. Una chiave per l’ubbidienza di Gesù sulla terra fu la perseveranza nella sofferenza. Come già detto, si trattava di qualcosa che poteva imparare solo per esperienza dopo l’incarnazione. Infatti, è scritto: benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì (Ebrei 5:8).

ii. Egli abbassò sé stesso in tutti i sensi.

·Si abbassò prendendo la forma di un uomo, piuttosto che quella di una creatura più gloriosa come, ad esempio, un angelo.

·Si abbassò nascendo in un luogo oscuro e sotto oppressione.

·Si abbassò nascendo in povertà, in un popolo disprezzato.

·Si abbassò nascendo come un bambino, piuttosto che apparire come un uomo.

·Si abbassò sottomettendosi all’ubbidienza che si addice a un bambino in casa sua.

·Si abbassò imparando ed esercitando un mestiere – un umile mestiere di costruttore.

·Si abbassò dovendo attendere a lungo prima di dare il via al Suo ministero pubblico.

·Si abbassò nella scelta dei propri compagni e discepoli.

·Si abbassò rivolgendosi a determinate folle e nel modo in cui insegnava.

·Si abbassò nelle tentazioni che permise e sopportò.

·Si abbassò sopportando la debolezza, la fame, la sete e la stanchezza.

·Si abbassò dimostrando totale ubbidienza verso il Suo Padre Celeste.

·Si abbassò sottomettendosi allo Spirito Santo.

·Si abbassò scegliendo e sottomettendosi alla morte della croce.

·Si abbassò nell’agonia della Sua morte.

·Si abbassò affrontando la vergogna, lo scherno e l’umiliazione pubblica della Sua morte.

·Si abbassò sopportando l’agonia spirituale del Suo sacrificio sulla croce.

iii. Possiamo supporre che fosse possibile per il Figlio di Dio diventare uomo e pagare per i peccati del mondo senza sottoporsi a una tale grande umiliazione. Avrebbe potuto aggiungere alla Sua divinità l’umanità di un uomo di 33 anni. Sarebbe potuto apparire davanti agli uomini solo nella Sua gloria trasfigurata e insegnare agli uomini ciò che avevano bisogno di sentire da Lui. Avrebbe potuto soffrire per i peccati dell’uomo in un luogo nascosto sulla terra, lontano dagli occhi o, a dirla tutta, anche nella parte più remota della luna. Eppure, non lo fece; abbassò sé stesso per l’immenso valore della nostra salvezza e della Sua opera per noi.

b. Fino alla morte e alla morte di croce: Ci parla della misura dell’umiltà e dell’ubbidienza di Gesù.

i. La crocifissione era una morte così deplorevole che i cittadini romani ne erano esentati (come gli abitanti di Filippi). I giudei consideravano la vittima condannata alla crocifissione maledetta in modo particolare da Dio (Deuteronomio 21:23 e Galati 3:13).

ii. Robertson definisce la morte di croce“L’ultimo gradino della scala che scende dal Trono di Dio. Gesù venne quaggiù per subire la morte più vergognosa di tutte, un criminale condannato alla croce maledetta”.

iii. E alla morte in croce dimostra che non c’è alcun limite a ciò che Dio farebbe per dimostrare all’uomo il proprio amore e la potenza della salvezza: questa è stata e sarà per sempre la dimostrazione più grande di tutte. “Chissà cosa dev’essere stato il peccato agli occhi di Dio tanto da richiedere una tale umiliazione in Gesù Cristo affinché fosse espiato e ne fossero annullate l’influenza e la malvagità!” (Clarke)

iv. “Più Egli si abbassa per salvarci, più noi dobbiamo innalzarlo nella nostra riverenza e adorazione. Benedetto sia il Suo nome, Egli si abbassa, si abbassa e si abbassa, e, quando raggiunge il nostro livello e diventa uomo, si abbassa ancora e ancora, più in basso e più in profondità.” (Spurgeon)

c. E alla morte di croce: Tutto ciò è stata una grande dimostrazione della potenza di Gesù. Ricorda che, a causa dell’esperienza precedente di Paolo tra i Filippesi, questi erano tentati di pensare che la potenza di Dio si esprimesse solo nell’esaltazione e nella liberazione, e non nella glorificazione di Dio tramite un servizio umile e la perseveranza.

i. Con questo Paolo ricorda ai Filippesi che le sue attuali umili circostanze (la sua prigionia a Roma) possono ancora manifestare la gloria e la potenza di Dio, così come Gesù fece nella Sua umiltà.

C. Gesù, esempio perfetto di esaltazione dopo l’umiliazione.

1. (9) L’esaltazione di Gesù Cristo.

Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome,

a. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato: Un’espressione che funge da titolo generale per ciò che troviamo nei tre versetti seguenti. Sono parole che descrivono come Dio abbia innalzato Gesù. In realtà, sovranamente innalzato potrebbe essere tradotto con “super innalzato”.

i. “L’eleganza greca adotta super-innalzato o esaltato con ogni esaltazione.” (Poole)

ii. “Ora, rifletti un attimo su questo – Cristo non incoronò sé stesso, ma fu Suo Padre a farlo; non elevò sé stesso al trono della maestà, ma fu Suo Padre a innalzarlo e a porlo sul Suo trono.” (Spurgeon)

b. Gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome: Questo va oltre il dare a Gesù il nome Divino Yahweh. Quando consideriamo il concetto ebraico di nome, capiamo che Dio sta dichiarando che il carattere e la persona di Gesù sono al di sopra di ogni cosa.

i. Questo versetto, che afferma chiaramente la deità di Cristo, è un’arma potente contro coloro che rinnegano la Sua divinità. Non c’è nessun nome al di sopra di Yahweh e quel nome appartiene a Gesù.

2. (10-11) La sottomissione a Gesù di tutto il creato.

Affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

a. Affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio: Non solo Gesù è innalzato dal Padre, ma tutto il mondo si sottomette al Figlio.

i. “Con questo Paolo non insegna una salvezza universale, ma spiega come ogni essere vivente alla fine confesserà la signoria di Cristo, sia che avvenga tramite una fede gioiosa che con risentimento e disperazione.” (Kent)

b. Creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee: È un’indicazione che l’intera creazione riconosce la superiorità di Gesù Cristo.

i. In questo caso Paolo attinge dal concetto espresso in Isaia 45:23: Ho giurato per me stesso, dalla mia bocca è uscita una parola di giustizia, e non sarà revocata: ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua giurerà per me. È importante notare che in Isaia ogni ginocchio si piegherà e ogni lingua confesserà davanti a Yahweh. In Filippesi succederà davanti a Gesù, a dimostrazione che Gesù è Yahweh.

ii. Sotterranee: “O i morti che sono nascosti sotto terra e che risusciteranno per la potenza di Cristo… o i demoni e le anime malvagie.” (Poole)

c. Si pieghi ogni ginocchio… ogni lingua confessi: La combinazione tra ogni lingua confessi ed ogni ginocchio si pieghi è la prova di una completa sottomissione a Gesù sia in parole che in fatti, una sottomissione che sarà richiesta a tutti.

i. La totalità del riconoscimento dell’esaltazione e della divinità di Gesù ha portato molti a immaginare un evento formale dopo il giudizio finale, quando ogni creatura in cielo e all’inferno sarà obbligata a piegare le proprie ginocchia e a confessare che Gesù Cristo è il Signore.

d. Che Gesù Cristo è il Signore: Da questo possiamo dedurre che, in un certo senso, Gesù tornò in cielo avendo qualcosa in più rispetto a quando lo aveva lasciato. Non solo ritornò con la Sua umanità in aggiunta alla Sua divinità (sebbene un’umanità risuscitata), ma ascese al cielo insieme al riconoscimento seminato tra gli uomini di chi Egli è e dell’adorazione di cui è meritevole – cosa sconosciuta fino all’Incarnazione e alla piena rivelazione della Sua persona e della Sua opera.

i. “Egli ha da sempre (secondo il punto di vista di Paolo) partecipato alla natura Divina, ma è solo come conseguenza della Sua Incarnazione, Sacrificio, Resurrezione e Magnificazione che Egli appare agli uomini come uno uguale a Dio e che viene adorato da loro nello stesso modo in cui Jehovah riceve l’adorazione.” (Kennedy)

ii. “Avrebbe potuto usare i poteri miracolosi intrinsechi della Sua natura Divina in una maniera tale da costringere gli uomini, senza alcun indugio, ad adorarlo come Dio. Tuttavia, era disposto a raggiungere quest’alta dignità intraprendendo il sentiero dell’umiliazione, della sofferenza e della morte.” (Kennedy)

iii. Bisogna considerare tutto questo in riferimento all’umiliazione descritta in Filippesi 2:6-8; la nostra tendenza è quella di desiderare l’esaltazione tralasciando però l’umiliazione.

e. Gesù Cristo è il Signore: La confessione riguardo a Gesù Cristo quale Signore ci ricorda di considerare il grande significato della parola kurios, soprattutto nel modo in cui veniva compresa dalla chiesa primitiva. La Bibbia che avevano a disposizione era la Versione dei Settanta (LXX), in cui il termine kurios appare costantemente come traduzione del tetragramma, che identifica il nome di Yahweh.

i. Inoltre, non dovremmo ignorare il significato che il termine assunse più tardi nell’Impero Romano, dai cui abitanti si esigeva che giurassero fedeltà all’Imperatore, dichiarando che Cesare è il Signore e bruciando un pizzico d’incenso ad una delle sue immagini. Sebbene lo stato romano considerasse tale pratica solo una dimostrazione di lealtà politica, i cristiani la ritenevano giustamente un atto di idolatria a cui si rifiutavano di prendere parte, spesse volte pagandone le conseguenze con la vita.

ii. Paolo non ha alcun dubbio su chi sia veramente il Signore – non il Cesare davanti al quale si troverà durante il suo processo; Cesare potrà anche essere un nome importante, ma non è il nome al di sopra di ogni altro nome, il nome che appartiene a Gesù Cristo!

f. Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre: Dobbiamo tenere a mente che Paolo non fornisce questa descrizione di Gesù in Filippesi 2:5-11 solo per impartire una lezione teologica ai Filippesi.

·La fornisce per equipaggiarli a sopportare le difficoltà che stanno attraversando.

·La fornisce per aiutarli a comprendere le sofferenze di Paolo.

·La fornisce per aiutarli ad esercitare la vera unità cristiana in tempi difficili.

i. Questa immagine di Gesù li aiuta a comprendere come valutare il ministero di Paolo, che al momento appare indebolito.

ii. Questa immagine li aiuta a comprendere il contesto della rivelazione di Dio della Sua potenza – il modo in cui Egli si compiace di mostrare la Sua potenza attraverso atti di umiltà.

iii. Questa immagine li equipaggia ad agire l’uno verso l’altro in maniera da incoraggiare l’unità nel corpo di Cristo.

iv. Questa immagine mostra loro come seguire il modello di ubbidienza paziente e umile di Gesù, in cui Paolo li esorterà a perseverare nei versetti successivi.

D. Esortazione di Paolo ai Filippesi.

1. (12) Compiere la propria salvezza.

Perciò, miei cari, come mi avete sempre ubbidito non solo quando ero presente, ma molto più ora che sono assente, compite la vostra salvezza con timore e tremore,

a. Perciò… come mi avete sempre ubbidito: Non possiamo non vedere il collegamento tra l’ubbidienza mostrata da Gesù (Filippesi 2:8) e l’ubbidienza che Paolo si aspetta dai cristiani come seguaci di Gesù (Filippesi 2:12).

b. Compite la vostra salvezza: Sappiamo che Paolo non intende dire: “Adoperatevi in modo da guadagnarvi la salvezza”; tale dichiarazione contraddirebbe l’intero vangelo di Paolo. In realtà, la sua intenzione è di esortare i Filippesi a degli sforzi reali nel loro cammino cristiano non col fine di conseguire la propria salvezza, ma di compierla – renderla evidente in ogni area delle loro vite, azionando la salvezza che Dio ha dato loro gratuitamente.

i. Perciò, “Queste parole, trovandosi nel Nuovo Testamento, non sono un’esortazione per tutti gli uomini, ma sono rivolte al popolo di Dio. Non sono intese a essere un’esortazione per il non credente; poiché si trovano nelle epistole, si tratta senza dubbio di parole indirizzate a coloro che sono già stati salvati mediante una fede vivente nel Signore Gesù Cristo.” (Spurgeon)

c. Compite la vostra salvezza: Da un lato, la nostra salvezza è completa, in quanto Gesù ha compiuto un’opera completa per noi. Dall’altro, la nostra salvezza è incompleta, in quanto si tratta di un’opera ancora incompleta in noi.

i. “Il credente deve terminare, deve portare a compimento, deve mettere in pratica interamente ciò che Dio gli ha già dato sotto forma di principio… Deve adoperarsi per quello che Dio nella Sua grazia ha già compiuto.” (Muller)

ii. “Alcuni professori sembrano aver adottato il pensiero secondo cui la grazia di Dio sia una specie di oppio con cui gli uomini si drogano per assopirsi, il cui desiderio di forti dosi di dottrine soporifere cresce in base al cibo con cui viene nutrito. “Dio opera in noi”, dicono, “quindi a noi non tocca fare nulla”. Un ragionamento sbagliato che porta ad una conclusione errata. Il testo dice che Dio opera; pertanto, dobbiamo metterci all’opera proprio perché Dio è all’opera in noi.” (Spurgeon)

iii. “Egli esorta gli uomini come se fosse un Arminiano e prega Dio come se fosse un Calvinista; tra i due atteggiamenti non percepisce alcuna contraddizione. Paolo non cerca di conciliare la sovranità divina con il libero arbitrio, ma proclama entrambi con franchezza.” (Robertson)

d. La vostra salvezza: Con questo ci viene detto di porre attenzione alla nostra salvezza. A volte mostriamo maggiore interesse per l’opera di Dio negli altri, ma non abbastanza interesse per la Sua opera in noi. Dobbiamo prenderci cura delle anime degli altri, ma questa cura deve iniziare prima dalla nostra.

e. Con timore e tremore: Paolo non afferma che dovremmo vivere la nostra vita cristiana con un senso costante di paura e terrore, ma che dovremmo vivere con il timore di non riuscire a compiere la nostra salvezza.

i. Compiamo la nostra salvezza con timore e tremore, ma non con la paura dell’inferno o della dannazione. Dev’essere, piuttosto, il giusto rispetto che ogni credente dovrebbe avere verso Dio. Non è il tremore di un peccatore colpevole; piuttosto, dovrebbe essere il tremore di gioia di un incontro con la gloria di Dio.

f. Ma molto più ora che sono assente: In questo contesto, proprio perché è assente, Paolo incoraggia un’etica cristiana basata sul compiere la propria salvezza, piuttosto che un’etica basata sulle opere col fine di guadagnarsela.

2. (13) L’opera di Dio in voi.

Poiché Dio è colui che opera in voi il volere e l’operare, per il suo beneplacito.

a. Poiché Dio è colui che opera in voi: A questo punto, Paolo espone il motivo per cui i cristiani devono compiere la propria salvezza con timore e tremore – perché Dio è all’opera in loro.

i. Troviamo conforto in questo: Dio è colui che opera in voi. “La grazia che ti basta in ogni cosa dimora in te, credente. C’è un pozzo vivente dentro di te che sgorga; usa dunque il secchio e continua ad attingervi; non si esaurirà mai; una fonte vivente è al suo interno.” (Spurgeon)

b. Dio… opera in voi: Dato che Dio ha compiuto e continua a compiere un’opera nella vita del cristiano, il cristiano ha dunque una più grande responsabilità di mettersi all’opera con timore e tremore per quanto riguarda la sua salvezza e il suo cammino con il Signore. L’opera di Dio in noi accresce la nostra responsabilità; non la sminuisce in alcun modo.

i. Coloro che usano la sovranità di Dio e il Suo operare come scusa per non fare nulla e rimanere in letargo sono come il servo pigro e malvagio in Matteo 25:24-30.

ii. Coloro che sono veramente servi di Dio usano la propria comprensione della Sua sovranità e onnipotenza come motivazione per un servizio migliore e più dedito a Lui.

c. Il volere e l’operare: L’opera di Dio in noi si estende fino alla trasformazione sia del nostro volere che delle nostre azioni (l’operare). Eppure, alla luce dell’esortazione iniziale di compiere la propria salvezza, non si tratta di una transazione passiva.

d. Per il suo beneplacito: Questo è il motivo dell’opera di Dio nelle nostre vite. Egli opera per il Suo beneplacito.

3. (14-16) Modi pratici per ubbidire all’esortazione di Paolo.

Fate ogni cosa senza mormorare e senza dispute, affinché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una generazione ingiusta e perversa, fra la quale risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la parola della vita, affinché nel giorno di Cristo abbia di che gloriarmi, per non aver corso invano né invano faticato.

a. Fate ogni cosa senza mormorare e senza dispute: C’è grande disaccordo tra gli studiosi riguardo al mormorare e alle dispute; alcuni ritengono che facciano riferimento ai problemi tra i Filippesi (come visto in Filippesi 2:1-4), altri invece che si tratti del loro atteggiamento verso Dio. Forse erano risentiti verso Dio a causa della loro presente afflizione (Filippesi 1:27-30).

i. Poiché Paolo usa in maniera specifica dei termini che sono stati utilizzati per descrivere il mormorio di Israele contro Dio durante l’Esodo, è probabilmente meglio considerare il mormorare e le dispute come parte del loro atteggiamento verso Dio. Spurgeon fornisce tre esempi di ciò contro cui non dobbiamo mormorare:

·La Provvidenza di Dio.

·Gli uni contro gli altri.

·Il mondo malvagio.

ii. In questo comandamento, l’enfasi cade sulle parole ogni cosa, che è proprio la prima parola che appare in questo versetto nel testo in greco antico.

iii. “Non disputate con Dio, lasciate che faccia ciò che Gli par bene. Non disputate con i vostri compagni cristiani, non lanciate alcuna accusa contro di loro. Quando a Calvino fu detto che Lutero aveva sparlato di lui, disse: ‘Che Lutero mi chiami pure diavolo, se vuole; io non dirò mai niente a suo riguardo se non che è un caro e valoroso servo del Signore’. Non contendete sulla base di questioni intricate e complesse.” (Spurgeon)

b. Affinché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo: Quando mostriamo uno spirito non lamentoso, diamo prova di essere veri seguaci di Dio.

i. Integri richiama l’idea di “puro” o “genuino”. Comunque sia, la traduzione integri è valida (viene utilizzata la stessa parola in Matteo 10:16, semplici).

ii. “L’apostolo dice: ‘Siate irreprensibili e integri’. Il termine greco può essere tradotto anche con ‘privo di corna’, come se fossimo delle creature che non solo non fanno del male, ma che sono incapaci di farne; come pecore che non solo non divorano, ma che non possono divorare perché ciò sarebbe contrario alla loro natura; esse non hanno denti con cui mordere, nessuna zanna con cui colpire e nessun veleno con cui uccidere.” (Spurgeon)

c. In mezzo ad una generazione ingiusta e perversa: Questo sembra riferirsi a Deuteronomio 32:5: Ma essi si sono corrotti; non sono suoi figli, a motivo della loro colpa, generazione contorta e perversa. Paolo intende dire che i cristiani moderni non devono assomigliare all’Israele ribelle, che mormorava e disputava costantemente con Dio durante la permanenza nel deserto.

d. Fra la quale risplendete come luminari nel mondo: Non si tratta di un incoraggiamento a fare qualcosa; è la semplice dichiarazione di un fatto. I cristiani sono luminari nel mondo; la domanda è: “Quanto è luminoso il loro splendore?”

i. “Non semplicemente luci, ma luminari, corpi celesti. Purtroppo, è difficile rendere il termine in maniera soddisfacente in una traduzione inglese.” (Alford)

ii. Dobbiamo adempiere il nostro ruolo come luminari nel mondo:

·Le luci vengono usate per rendere visibili le cose.

·Le luci vengono usate per guidare.

·Le luci vengono usate come avvertimento.

·Le luci vengono usate per portare buon umore.

·Le luci vengono usate per mettere in sicurezza.

iii. Paolo sapeva che i luminari stavano attraversando un brutto momento. Piuttosto che giustificare la loro mancanza di splendore, Paolo sapeva che, a motivo della loro posizione, era ancora più importante che risplendessero. Trovarsi in un luogo buio è un incentivo ulteriore per brillare.

e. Tenendo alta la parola della vita: La frase tenendo alta può essere tradotta anche con proclamare. Entrambi i significati sono veri ed è possibile che Paolo abbia voluto intendere sia l’uno che l’altro. Noi teniamo alta – anche nel senso di tenere forte – la parola della vitae proclamiamola parola della vita.

f. Affinché nel giorno di Cristo abbia di che gloriarmi, per non aver corso invano né invano faticato: Il pensiero che l’opera di Paolo potesse in qualche modo vanificarsi lo infastidiva. Sapeva che la sua opera dimorava realmente nelle persone; quindi, se quelle persone non fossero rimaste salde nel Signore, il suo ministero, in un certo senso, sarebbe stato invano.

g. Nel giorno di Cristo: Paolo guardava avanti verso il giorno di Cristo e in quel giorno avrebbe voluto vedere e sapere che il suo lavoro aveva portato frutto. Avrebbe potuto averne la certezza solo se i Filippesi avessero continuato a camminare con il Signore.

i. Ecco il vero cuore di un pastore: avere pochi fardelli per sé stesso, ma molti per gli altri; non accontentarsi solo della propria relazione con Dio, ma desiderare di vedere anche gli altri camminare con il Signore.

4. (17-18) Paolo, un esempio della sua stessa esortazione.

Ma anche se sono versato in sacrificio e servizio della vostra fede, ne gioisco e ne godo con tutti voi. Similmente gioitene anche voi e rallegratevi con me.

a. Versato: Paolo qui allude alla pratica osservata sia dai giudei che dai pagani durante i loro sacrifici. Spesso versavano del vino (o altre volte delle fragranze) accanto (secondo l’usanza ebraica) o sopra (secondo la pratica pagana) l’animale sacrificato a Dio o alle divinità pagane.

i. Questa è la libazione, un’offerta che accompagnava un altro sacrificio, menzionata in Numeri 15:4-5 e 28:7.

ii. Sono versato è al tempo presente, indicando la possibilità che la sua esecuzione fosse imminente.

b. In sacrificio e servizio della vostra fede: Il termine in greco antico tradotto con servizio è leutrogia. Aveva il significato di “Servizio a Dio o alla Sua causa… qualsiasi servizio sacerdotale o atto sacro” (Muller). Dunque, in questo versetto abbiamo un sacrificio, un sacerdote e una libazione che rende il sacrificio ancora più prezioso.

i. Dato che sacrificio e servizio sono collegati alla fede dei Filippesi, è appropriato vedere l’immagine di Paolo come descrizione dei Filippesi quali “sacerdoti” e della loro fede quale “sacrificio”, al quale Paolo aggiunge (e pertanto arricchisce con) il proprio martirio come una libazione.

c. Ne gioisco e ne godo… Similmente gioitene anche voi e rallegratevi con me: Paolo guardava a ciò che avrebbe potuto essere il suo martirio imminente e si aspettava che anche i Filippesi gioissero e si rallegrassero con lui. Paolo non si stava comportando in maniera macabra, chiedendo ai Filippesi di gioire in qualcosa di tanto deprimente quanto la sua morte. Anzi, chiese loro di considerare la sua morte come qualcosa che avrebbe portato gloria a Dio. È un tema che viene ripreso da Filippesi 1:20.

i. La vita di Paolo stava per diventare un sacrificio per Gesù Cristo, sia nella vita che nella morte. Questa era fonte di felicità e gioia per Paolo, il quale desiderava che i Filippesi si armassero della stessa attitudine.

ii. Ci troviamo di nuovo davanti al tema ricorrente della lettera: gioia. Una gioia che non si basa sulle circostanze (a dire il vero, l’esatto contrario), bensì su una vita totalmente dedicata a Gesù Cristo.

E. Paolo, Timoteo ed Epafrodito.

1. (19-22) Paolo scrive di Timoteo e della sua visita attesa di lì a poco.

Ora spero nel Signore Gesù di mandarvi presto Timoteo, affinché anch’io sia incoraggiato nel conoscere le vostre condizioni, perché non ho alcuno d’animo uguale al suo e che abbia sinceramente cura delle vostre cose. Tutti infatti cercano i loro propri interessi e non le cose di Cristo Gesù. Ma voi conoscete la sua prova come ha servito con me nell’evangelo, come un figlio serve al padre.

a. Ora spero nel Signore: Questo mostra il cuore di Paolo ricolmo di fiducia nel Signore. Desidera vedere Timoteo tra i Filippesi, ma sa che accadrà nei tempi e nei modi stabiliti da Dio.

b. Affinché anch’io sia incoraggiato nel conoscere le vostre condizioni: Paolo non si aspettava problemi dai Filippesi, come succedeva con altre chiese problematiche. Piuttosto, si aspettava di essere incoraggiato nel conoscere le loro condizioni.

i. In contrapposizione a questo è l’atteggiamento che Paolo esprime verso la chiesa di Corinto in 2 Corinzi 13:2-3, la quale aveva problemi ben più gravi di quelli della chiesa di Filippi.

c. Che abbia sinceramente cura delle vostre cose: Con Timoteo, Paolo inviò il meglio che aveva, un uomo che aveva dimostrato un cuore di pastore e che aveva una premura maggiore per il suo gregge che per sé stesso.

i. Paolo riconosce la rarità di questo sentimento quando considera che tutti cercano i propri interessi e non le cose di Cristo Gesù.

2. (23-24) Paolo non vuole soltanto mandar loro Timoteo, ma riafferma il proprio desiderio di vedere i Filippesi di persona.

Spero dunque di mandarvelo non appena avrò sistemato completamente le mie cose. Ora ho fiducia nel Signore che io pure verrò presto.

a. Ho fiducia nel Signore che io pure verrò presto: Forse Paolo cerca di essere cauto onde evitare un’accusa del tipo: “Paolo manda Timoteo perché non vuole venire”. A tal motivo, dice chiaramente ai Filippesi che anche lui desidera far loro visita.

3. (25-26) Paolo scrive riguardo a Epafrodito e al suo recarsi dai Filippesi.

Tuttavia ho ritenuto necessario di mandarvi Epafrodito, mio fratello, compagno d’opera e di lotta, vostro apostolo e ministro dei miei bisogni, poiché egli desiderava molto vedervi tutti, ed era angosciato perché avevate udito che era stato ammalato.

a. Ho ritenuto necessario di mandarvi: Ciò vuol dire che la lettera ai Filippesi è stata consegnata, senza alcun dubbio, da Epafrodito, il quale sembra che fosse partito da Filippi per recarsi da Paolo come messaggero e che si fosse ammalato mentre era con lui.

b. Mio fratello, compagno d’opera e di lotta: Paolo attribuisce a Epafrodito questi titoli importanti. L’apostolo lo considerava un compagno nell’opera del ministero.

i. Qui vengono menzionate tre relazioni speciali:

·Fratello ci parla di una relazione di cui poter godere.

·Compagno d’operaci parla di un lavoro da portare a termine.

·Compagno di lottaci parla di una battaglia da combattere.

c. Vostro apostolo e ministro dei miei bisogni: Epafrodito aveva portato a Paolo un contributo finanziario come dono da parte dei Filippesi (Filippesi 4:18).

i. Ministro porta con sé l’idea di un servizio sacerdotale. Epafrodito, nel consegnare a Paolo, a quel tempo a Roma, l’offerta in denaro da parte dei Filippesi, portò con sé un sacrificio.

d. Perché avevate udito che era stato ammalato: Epafrodito era angosciato perché i Filippesi avevano saputo della sua infermità e si erano preoccupati per lui. Il suo ritorno li avrebbe tranquillizzati, perché avrebbero constatato che il loro prezioso fratello era di nuovo in buone condizioni di salute.

i. Avrebbe aiutato anche Epafrodito, perché egli desiderava molto vedervi tutti, ed era angosciato. Aveva il grande desiderio di rivedere i cristiani di Filippi.

4. (27) Infermità di Epafrodito e sua guarigione.

Difatti egli è stato malato e molto vicino alla morte, ma Dio ha avuto pietà di lui, e non solo di lui ma anche di me, perché non avessi tristezza su tristezza.

a. Difatti egli è stato malato e molto vicino alla morte: La malattia di Epafrodito non è stata una cosa da poco; si è trovato molto vicino alla morte. Dio ha avuto pietà di lui ed è guarito.

i. Non c’è nulla nel testo che faccia pensare ad una guarigione miracolosa, ma Paolo ha comunque riconosciuto la mano misericordiosa di Dio nella guarigione di Epafrodito.

b. Perché non avessi tristezza su tristezza: Paolo ha visto la misericordia di Dio verso Epafrodito anche come un atto di misericordia verso di lui. Se Epafrodito fosse morto, Paolo sarebbe stato assalito da tristezza su tristezza, perché un fratello prezioso, un collaboratore d’opera e nella lotta per Cristo non sarebbe stato più sulla terra. Avrebbe avuto tristezza su tristezza anche perché Epafrodito si era ammalato quando, per conto dei Filippesi, si era recato da Paolo per ministrare ai suoi bisogni materiali e spirituali, che si trovava in prigione a Roma.

5. (28-30) Istruzioni di Paolo per i Filippesi su come ricevere Epafrodito al suo ritorno da loro.

Ve l’ho mandato perciò con tanta premura perché, vedendolo, di nuovo vi possiate rallegrare ed io stesso sia meno contristato. Accoglietelo dunque nel Signore con grande gioia e abbiate stima di persone come lui, perché per l’opera di Cristo egli è stato molto vicino alla morte, avendo esposto a rischio la propria vita, per supplire ai servizi che voi non potevate prestarmi.

a. Ve l’ho mandato con tanta premura: Paolo è desideroso di far ricongiungere i Filippesi con il loro caro fratello Epafrodito e ricorda loro di dargli il giusto riconoscimento al suo ritorno (abbiate stima di persone come lui).

i. Probabilmente i Filippesi non mandarono Epafrodito solo come un messaggero, ma anche come assistente personale di Paolo. Quando l’infermità gli impedì di essergli d’aiuto, poteva essere apparso agli occhi dei Filippesi come un fallimento (forse anche come qualcuno che si fingeva malato). Paolo li rassicurò del fatto che questo non era il caso; infatti, era esattamente l’opposto – Epafrodito aveva servito andando ben oltre il proprio dovere.

b. Perché per l’opera di Cristo egli è stato molto vicino alla morte: È per l’opera di Cristo che Epafrodito si trovò vicino alla morte. Sebbene il suo lavoro fosse per la maggior parte quello di fungere da messaggero e non fare nulla di particolarmente spirituale, si trattava comunque dell’opera di Cristo.

c. Avendo esposto a rischio la propria vita: La volontà di mettere al primo posto l’opera di Cristo al di sopra della sua incolumità personale mette in risalto il cuore nobile di Epafrodito.

i. La frase avendo esposto a rischio la propria vita nel greco antico utilizza una parola tipica tra i giocatori d’azzardo che rischiavano tutto con il lancio dei dadi. Paolo afferma che, per amore di Cristo, Epafrodito è disposto a giocarsi tutto.

ii. Al tempo della Chiesa Primitiva c’era un’associazione di uomini e donne che si facevano chiamare i giocatori d’azzardo, termine preso da questa stessa parola greca usata per la frase avendo esposto a rischio la propria vita. Il loro scopo era quello di fare visita ai prigionieri e ai malati, soprattutto coloro che erano colpiti da malattie infettive e pericolose. Spesse volte, quando una piaga colpiva una città, i pagani gettavano i corpi morti per le strade e scappavano terrorizzati. Ma i giocatori d’azzardo seppellivano i morti e cercavano di aiutare i malati al meglio delle proprie capacità, mettendo a rischio le proprie vite per mostrare l’amore di Gesù.

iii. “Sembra chiaro da questa espressione che la malattia di Epafrodito non fosse la conseguenza della persecuzione ma di uno sforzo fisico eccessivo.” (Lightfoot)

d. Per supplire ai servizi che voi non potevate prestarmi: Epafrodito si adoperò per questo portando il contributo economico da parte dei Filippesi. C’era una mancanza nella generosità e nelle buone intenzioni dei Filippesi finché il dono non fu consegnato a Paolo e venne in aiuto ai suoi bisogni.

i. Il nostro atteggiamento dovrebbe essere quello di considerare il nostro servizio mancante di qualcosa fino a quando il compito non è portato al termine. Non dovremmo accontentarci delle buone intenzioni o di un lavoro svolto a metà.

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