Colossesi 1




Colossesi 1 – La Grandezza di Gesù Cristo

A. Saluti e ringraziamenti.

1. (1-2) Paolo saluta i cristiani di Colosse.

Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio e il fratello Timoteo, ai santi e fedeli fratelli in Cristo che sono in Colosse: grazia e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo.

a. Paolo: Secondo l’usanza del tempo riguardo alla composizione delle lettere, il nome dell’autore compariva per primo. Nel caso di Colossesi, quel nome è Paolo, che scrisse la lettera mentre si trovava sotto custodia romana (Colossesi 4:3, 4:10 e 4:18), con molta probabilità a Roma intorno al 63 d.C.

i. L’apostolo scrisse la lettera probabilmente in occasione della visita di Epafra da Colosse (Colossesi 1:7). È possibile che Paolo stesso non avesse mai visitato la città (Colossesi 2:1).

b. Apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio: Paolo era qualificato per scrivere questa lettera di istruzioni indirizzata ai Colossesi, sebbene non li avesse mai incontrati personalmente, perché era un apostolo.

i. “Il significato letterale di apostolos è ‘mandato’; in un senso più profondo denota un portavoce autorizzato per conto di Dio, qualcuno commissionato ed incaricato ad agire come Suo rappresentante.” (Vaughan)

ii. E il fratello Timoteo: Timoteo era un compagno rispettato di Paolo, ma non era un apostolo. “Sebbene qui Timoteo sia inserito nel saluto, non viene mai ritenuto co-autore dell’epistola. Egli viene considerato come amanuense o scriba dell’apostolo.” (Clarke)

c. Ai santi e fedeli fratelli: Rivolgendosi ai santi, Paolo non faceva distinzione tra i cristiani appartenenti alla chiesa di Colosse. Ogni vero cristiano è un santo. Ciononostante, sembra esserci una distinzione con la dicitura fedeli fratelli, con la quale, probabilmente, faceva riferimento a coloro che non avevano abbracciato il falso insegnamento per cui Paolo sembra mostrare particolare preoccupazione nella sua lettera.

d. Che sono in Colosse: Colosse era probabilmente la città più piccola e meno importante alla quale Paolo abbia mai scritto. Sembra strano che avesse rivolto la propria attenzione ai cristiani di Colosse in un momento caratterizzato da tante altre preoccupazioni. Eppure, per lui la situazione a Colosse era sufficientemente importante da dedicarle la sua attenzione apostolica.

i. Ciò che spinse Paolo a scrivere questa lettera furono i vari problemi presenti tra i cristiani di Colosse, anche se il problema dottrinale – a volte definito come “L’Eresia Colossese” – è difficile da descrivere in maniera precisa. Probabilmente si trattava di una sorta di corruzione del cristianesimo con elementi di misticismo e legalismo giudaico, mischiato forse ad uno gnosticismo ancora primordiale.

ii. L’ambientazione religiosa del primo secolo era molto simile alla nostra. Era un’epoca caratterizzata da miscugli religiosi, dove le persone attingevano da una religione e dall’altra. L’unica differenza era che nel primo secolo ci si univa ad un gruppo specifico, che si occupava di prendere in prestito dalle altre religioni. Nella nostra cultura moderna, invece, sono i singoli individui a prendere l’iniziativa.

iii. Qualunque fosse il problema, Paolo conosceva la soluzione: una migliore comprensione di Gesù. Conoscere il vero Gesù ci aiuta a stare alla larga da quello contraffatto, indipendentemente da come viene presentato.

e. In Colosse: La città di Colosse non viene menzionata nel Libro degli Atti. Tutte le informazioni bibliche che abbiamo riguardo a questa chiesa ci vengono fornite da questa lettera e da alcune allusioni presenti nella lettera a Filemone.

i. Da queste fonti capiamo che fu Epafra a portare il vangelo ai Colossesi (Colossesi 1:6-7). Natio della città di Colosse (Colossesi 4:12), portò il vangelo anche nelle città circostanti nella Valle del Lico, come Gerapoli e Laodicea.

ii. Probabilmente Epafra udì il messaggio del vangelo nel periodo di permanenza di Paolo ad Efeso. Paolo insegnava nella scuola di Tiranno e tutti gli abitanti dell’Asia, giudei e greci, udirono la parola del Signore Gesù (Atti 19:10). Non sarebbe strano pensare che alcune persone provenienti da Colosse avessero ricevuto il vangelo proprio durante quel periodo.

iii. Storicamente parlando, Colosse era una città prospera e famosa (insieme ad altre città nella stessa regione) per le sue tinte per tessuti. Tuttavia, già ai tempi di Paolo la gloria della città si era avviata verso il declino.

iv. Adam Clarke aggiunge un commento interessante: “Grazie alla testimonianza di Eusebio, sappiamo che la città fu distrutta da un terremoto poco tempo dopo la stesura di questa epistola.” Anche Tacito fa menzione del terremoto, avvenuto intorno al 60 d.C.

f. Grazia e pace a voi da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo: Il saluto di Paolo era di uso comune ma comunque sincero. “La grazia è la bontà incondizionata di Dio verso uomini e donne, la quale viene espressa con fermezza nell’opera salvifica di Cristo.” (Bruce)

i. Questa lettera – piena di amore e premura, scritta ad una chiesa che Paolo non aveva né fondato né visitato – mostra la potenza dell’amore cristiano. Paolo non aveva bisogno di vedere né di incontrare né di conoscere questi credenti in prima persona per amarli ed essere preoccupato per loro.

2. (3) La preghiera abituale di Paolo per i Colossesi.

Noi rendiamo grazie a Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo, pregando continuamente per voi.

a. Pregando continuamente per voi: Sebbene non avesse mai incontrato la maggior parte di loro, i cristiani di Colosse erano sulla lista di preghiera di Paolo. Non solo pregava spesso per loro, ma continuamente.

b. Noi rendiamo grazie: Quando Paolo pregava per i Colossesi, lo faceva con immensa gratitudine. Probabilmente coloro che pregano di più tendono ad avere più motivi per cui ringraziare Dio.

3. (4-8) Motivi della gratitudine di Paolo.

Perché abbiamo sentito parlare della vostra fede in Cristo Gesù e del vostro amore verso tutti i santi, a motivo della speranza che è riposta per voi nei cieli, di cui avete già sentito nella parola della verità dell’evangelo, che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo e porta frutto e cresce, come avviene anche tra di voi, dal giorno in cui udiste e conosceste la grazia di Dio in verità, come avete imparato da Epafra, nostro caro compagno, il quale è un fedele ministro di Cristo per voi, e che ci ha anche dichiarato il vostro amore nello Spirito.

a. Perché abbiamo sentito: Paolo era grato per la loro fede in Cristo Gesù e per il loro amore verso tutti i santi. La fede genuina in Gesù produrrà sempre un amore sincero verso il popolo di Dio.

b. A motivo della speranza: Paolo era grato a motivo della speranza riposta per loro nei cieli. Era pieno di gratitudine nel considerare il destino dei cristiani di Colosse.

i. Notiamo la famosa triade composta da fede, speranza e amore. Non si trattava semplicemente di alcuni concetti teologici di Paolo; questi caratterizzavano la sua mentalità come cristiano.

c. Di cui avete già sentito nella parola della verità: Paolo era grato che il loro destino eterno fosse stato influenzato dalla verità dell’evangelo, portata a loro da Epafra (come avete imparato da Epafra).

i. Epafra viene descritto come un fedele ministro di Cristo per voi. Questo non significa che Epafra fosse superiore agli altri cristiani di Colosse. La parola ministro non vuol dire “superiore”; significa “colui che serve.”

d. E porta frutto: Paolo era grato che il vangelo stesse portando frutto in tutto il mondo, sebbene si trovasse in una prigione romana.

i. La frase “in tutto il mondo” era “una valida iperbole, perché il vangelo si stava diffondendo in tutto l’Impero Romano.” (Robertson)

ii. “La dottrina del Vangelo viene rappresentata come un viaggiatore, il cui obiettivo è quello di andare in tutto mondo abitato… Questo viaggiatore si sposta così velocemente da aver già attraversato quasi tutte le nazioni sotto il dominio romano e continuerà a viaggiare fino a quando non avrà proclamato il suo messaggio ad ogni popolo, tribù, nazione e lingua.” (Clarke)

B. Preghiera di Paolo per i cristiani di Colosse.

1. (9-11) Paolo supplica Dio per i Colossesi.

Perciò anche noi, dal giorno in cui abbiamo sentito questo, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere che siate ripieni della conoscenza della Sua volontà, in ogni sapienza ed intelligenza spirituale, perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio, fortificati con ogni forza, secondo la Sua gloriosa potenza, per ogni perseveranza e pazienza, con gioia.

a. Di chiedere che siate ripieni della conoscenza della Sua volontà: Prima di tutto, Paolo pregò affinché fossero ripieni della conoscenza della Sua volontà, influenzata da una reale intelligenza spirituale. La nostra prima responsabilità è quella di conoscere Dio e ciò che Egli richiede da noi.

i. “Leggendo l’intera epistola, vedrai come Paolo alluda spesso alla conoscenza e alla sapienza. Poiché ritiene la chiesa mancante di queste due caratteristiche, rivolge loro la propria attenzione in preghiera. Non li lascia nell’ignoranza. Egli sa che l’ignoranza spirituale è fonte perenne di errore, instabilità e dolore; per questo motivo, desidera che vengano istruiti saggiamente nelle cose di Dio.” (Spurgeon)

b. Perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa: In secondo luogo, Paolo pregò affinché vivessero secondo la stessa conoscenza che avevano ricevuto, camminando in modo degno del Signore.

i. Questo è uno schema familiare, ripetuto più e più volte nel Nuovo Testamento. Il nostro cammino si basa sulla nostra conoscenza di Dio e sulla nostra comprensione della Sua volontà.

c. Portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio: È così che possiamo piacere a Dio in ogni cosa e camminare in modo degno.

i. Queste parole riecheggiano quelle pronunciate da Gesù in Giovanni 15:7-8: Se dimorate in Me e le Mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli.

ii. “‘Portando frutto in ogni opera buona’. C’è qui ampio spazio d’azione – in ‘ogni opera buona’. Hai la facoltà di predicare il vangelo? Fallo! Un piccolo bambino ha bisogno di conforto? Daglielo! Hai la possibilità di prendere posizione e rivendicare una gloriosa verità davanti a migliaia di persone? Fallo! Un santo in povertà necessita di un po’ di cibo? Offriglielo. Che si trovino in te opere di ubbidienza, testimonianza, zelo, carità, pietà e filantropia. Non scegliere grandi cose come traguardo speciale, ma glorifica il Signore anche nelle piccole – ‘portando frutto in ogni opera buona’.” (Spurgeon)

d. Fortificati con ogni forza: Mentre camminiamo in modo degno del Signore, la Sua forza sarà lì ad aiutarci ad affrontare le sfide della vita e a sopportare e superare con gioia i problemi nelle circostanze (perseveranza) e con le persone (pazienza).

2. (12-14) Ringraziamenti specifici di Paolo rivolti al Padre.

Rendendo grazie a Dio e Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Poiché Egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Suo amato Figlio, in cui abbiamo la redenzione per mezzo del Suo sangue e il perdono dei peccati.

a. Rendendo grazie a Dio e Padre, che ci ha fatti degni: Nel governo divino, il Padre viene menzionato in relazione allo schema generale del Suo piano di redenzione. Egli è la Persona della Trinità che dà inizio al piano di tutte le età.

b. Di partecipare alla sorte dei santi: È il Padre a renderci degni, non le nostre opere. Riceviamo ciò in sorte, non come guadagno.

c. Poiché Egli ci ha riscossi dalla potestà delle tenebre: I cristiani sono stati riscossi dal dominio di Satana. Il termine conferisce l’idea di salvezza avvenuta per mano di un potere sovrano.

i. La frase potestà delle tenebre compare anche in un altro passaggio, Luca 22:53, nel quale Gesù, utilizzando gli stessi termini, parla delle tenebre che hanno avvolto il Suo arresto e la passione. “Queste parole si riferiscono alle forze oscure schierate contro di Lui in una battaglia decisiva nel regno spirituale.” (Bruce)

ii. La potestà delle tenebre è visibile dai suoi effetti, ma per coloro che sono stati riscossi dalla potestà delle tenebre tali effetti dovrebbero diventare sempre meno evidenti nelle loro vite.

·La potestà delle tenebre ci assopisce.

·La potestà delle tenebre è abile a nascondere.

·La potestà delle tenebre affligge e deprime l’uomo.

·La potestà delle tenebre può affascinarci.

·La potestà delle tenebre rende più sfacciate alcune persone.

iii. “Cari, veniamo ancora tentati da Satana, ma non siamo più sotto il suo potere; dobbiamo combattere contro di lui, ma non siamo più suoi schiavi. Egli non è il nostro re; non ha alcun diritto su di noi; noi non gli ubbidiamo; non daremo ascolto alle sue tentazioni.” (Spurgeon)

d. E ci ha trasportati nel regno del Suo amato Figlio: Secondo Barclay, la parola tradotta con il verbo trasportati aveva un significato speciale nel mondo antico. Quando un impero ne conquistava un altro, l’usanza era quella di radunare la popolazione dell’impero sconfitto e di trasferirla completamente nel territorio del conquistatore. Paolo usa il termine in questo senso quando dice che siamo stati trasportati nel regno di Dio. Tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo appartengono ora a Lui.

i. Suo amato Figlio è la forma ebraica per “l’amato Figlio di Dio.”

e. In cui abbiamo la redenzione per mezzo del Suo sangue: Il termine redenzione indica il pagamento di un riscatto legale. Il prezzo del nostro rilascio è stato pagato per mezzo del sangue di Gesù.

i. Per questo motivo invocare il sangue di Gesù – nel modo giusto e non in senso mistico o superstizioso – ha grande valore nella battaglia spirituale. Esso è la “ricevuta” del nostro acquisto legittimo come popolo redento.

ii. Una delle domande teologiche più difficili è: “A chi è stato pagato il prezzo?” Alcuni affermano che il prezzo del riscatto sia stato pagato a Dio, sebbene fossimo prigionieri del regno di Satana. Altri dicono che il prezzo del riscatto sia stato pagato a Satana, ma in che modo Dio sarebbe stato in debito con Satana? È una domanda che forse carica eccessivamente questa metafora.

f. Il perdono dei peccati: La parola tradotta con perdono è il termine aphesis in greco antico, il quale letteralmente significa “cacciare via”. I nostri peccati e la nostra colpa vengono cacciati via a causa di ciò che Gesù ha fatto sulla croce per noi.

i. “Parla quindi della rimozione dei nostri peccati, affinché questi non siano più una barriera che ci separa da Dio.” (Vaughan)

3. (15-20) Meditazione di Paolo sulla persona e sull’opera di Gesù.

Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché abbia il primato in ogni cosa, perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza, e, avendo fatta la pace per mezzo del sangue della sua croce, di riconciliare a sé, per mezzo di lui, tutte le cose, tanto quelle che sono sulla terra come quelle che sono nei cieli.

a. Egli è: Paolo inizia ringraziando il Padre per il Suo piano di redenzione (Colossesi 1:12). Non può farlo senza ringraziare anche il Figlio, il grande Redentore.

i. Molti studiosi pensano che Colossesi 1:15-20 provenga da una poesia o da un inno della chiesa primitiva, che descrive ciò che i Cristiani credevano riguardo a Gesù. Questo è sicuramente possibile, ma non è dimostrabile in alcun modo.

b. Egli è l’immagine dell’invisibile Dio: La parola tradotta in immagine (dal termine in greco antico eikon) esprimeva due concetti.

·Somiglianza, come l’immagine su una moneta o il riflesso in uno specchio.

·Manifestazione, nel senso che Dio è pienamente rivelato in Gesù.

i. Se Paolo avesse voluto dire che Gesù era soltanto simile al Padre, avrebbe usato il termine in greco antico homoioma, che comunica l’idea di semplice somiglianza. La parola più forte utilizzata da Paolo dimostra che egli sapeva che Gesù è Dio, così come Dio Padre è Dio. Significa che “Gesù è l’impronta di Dio Padre” (Robertson).

ii. “Dio è invisibile, il che non vuol dire semplicemente che Egli non si possa vedere con gli occhi fisici, ma indica la Sua imperscrutabilità. Il Dio imperscrutabile viene rivelato nel Cristo esaltato.” (Peake)

iii. Secondo Barclay, l’antico filosofo ebreo Filone paragonò l’eikon di Dio con il Logos. Paolo usò questa parola importante e piena di significato per uno scopo.

c. Il primogenito di ogni creatura: Primogenito (la parola prototokos in greco antico) può descrivere sia la precedenza in senso cronologico che la superiorità di grado. Nell’usare questa parola, probabilmente Paolo aveva in mente entrambi i concetti, con Gesù che viene prima di ogni essere creato ed è anche appartenente ad un ordine nettamente diverso da tutte le cose create.

i. Primogenito viene usato in riferimento a Gesù anche in Colossesi 1:18, Romani 8:29, Ebrei 1:6 e Apocalisse 1:5.

ii. Il titolo primogenito non indica in alcun modo che Gesù sia inferiore a Dio. Infatti, gli antichi rabbini chiamavano Yahweh stesso “il Primogenito del Mondo” (Rabbino Bechai, citato negli scritti di Lightfoot). Gli antichi rabbini usavano primogenito come titolo messianico: “Dio disse: ‘Come ho fatto di Giacobbe il mio primogenito (Esodo 4:22), così costituirò il re Messia mio primogenito (Salmo 89:27)’.” (R. Nathan in Shemoth Rabba, citato negli scritti di Lightfoot)

iii. “L’utilizzo di questa parola non dimostra ciò che Arius sosteneva: che Paolo avrebbe ritenuto Cristo una creatura simile ad ‘ogni creatura’… Viene bensì usata la forza del comparativo (superlativo) di protos.” (Robertson)

iv. Il vescovo Lightfoot, un noto studioso di greco antico riguardo all’uso di eikon (immagine) e prototokos (primogenito) scrive: “Poiché la Persona di Cristo è la risposta Divina sia ai dubbi filosofici dell’ebreo alessandrino che alle speranze patriottiche del palestinese, queste due correnti di pensiero si incontrano nel termine prototokos in riferimento a nostro Signore, il quale è sia il vero Logos che il vero Messia.” (Lightfoot)

v. “Prototokos esprime prima di tutto la priorità in senso temporale e successivamente, sulla base dei privilegi del primogenito, acquisisce anche il senso di dominio… Non è chiaro se qui la parola mantenga qualcosa del proprio significato originale.” (Peake)

d. Poiché in Lui sono state create tutte le cose: Non c’è alcun dubbio che Gesù sia l’autore di tutta la creazione. Egli stesso non è un essere creato. Quando ammiriamo la meraviglia e la gloria del mondo creato da Gesù, Lo adoriamo e Lo onoriamo ancora di più.

i. Le comete rilasciano scie di vapore che arrivano ad una lunghezza pari a circa 16.000 km. Se raccogliessimo tutto quel vapore e lo deponessimo in una bottiglia, la quantità di vapore effettivamente presente nella bottiglia occuperebbe meno di 2,5 centimetri cubi di spazio.

ii. Gli anelli di Saturno hanno una circonferenza massima di circa 800.000 km, ma arrivano ad avere al più uno spessore di soli 30 m.

iii. Se il sole avesse le dimensioni di un pallone da spiaggia e venisse posto sopra l’Empire State Building, il gruppo di stelle più vicino si troverebbe alla stessa distanza che c’è tra quest’ultimo e l’Australia.

iv. La terra viaggia intorno al sole ad una velocità otto volte maggiore di quella di un proiettile sparato da un’arma da fuoco.

v. Ci sono più insetti in poco più di due metri quadrati di terreno rurale che esseri umani su tutta la terra.

vi. Un singolo cromosoma umano contiene venti miliardi di frammenti di informazioni. A quanto equivalgono? Se riportati in libri normali, scritti in una lingua qualunque, occuperebbero circa 4.000 volumi.

vii. Secondo lo studioso di greco antico A.T. Robertson, “sono state create tutte le cose” dà l’idea di “rimanere creato”. Robertson aggiunge: “La stabilità dell’universo riposa, dunque, molto più su Cristo che sulla gravità. È un universo Cristo-centrico.”

e. Troni, signorie, principati e potestà: Come verrà poi dimostrato nel resto della lettera, l’Eresia Colossese sembra includere un’elaborata angelologia, che pone gli angeli in una posizione di mediazione tra Dio e l’uomo. Paolo enfatizza il fatto che Gesù ha creato ogni essere spirituale e che questi fondamentalmente rispondono a Lui, qualsiasi sia il loro rango.

f. Egli è prima di ogni cosa… Egli è il principio: Alcuni secoli dopo Paolo, un pericoloso (seppur popolare) insegnante di nome Ario dichiarò che Gesù non era veramente Dio e che ci fu un tempo in cui Egli non esisteva ancora. Paolo invece sapeva bene e insisteva che Gesù è prima di ogni cosa e che Egli stesso è il principio.

i. “Dato che tutto il creato esiste necessariamente nel tempo e ha avuto un principio e che c’è stato un periodo infinito nel quale invece non esisteva, qualsiasi cosa ci fosse prima o precedentemente non era parte del creato; l’Essere, che esisteva già da prima della creazione, prima dell’esistenza di ogni cosa, deve essere il Dio eterno e senza origini: Paolo però scrisse che Gesù Cristo era prima di ogni cosa; dunque, l’apostolo comprendeva che Gesù Cristo è veramente ed essenzialmente Dio.” (Clarke)

g. Tutte le cose sussistono in Lui: Gesù è sia il principio unificatore che la persona in cui sussiste tutto il creato.

i. “Ne consegue che Dio, in veste di Preservatore, è necessario al mantenimento di tutte le cose, così come Dio, in veste di Creatore, lo è stato per la loro origine. Qui la potenza preservatrice o continuatrice viene attribuita a Cristo.” (Clarke)

h. Il capo del corpo, cioè della chiesa: Si tratta di una descrizione della relazione di Gesù con la chiesa. Qui, capo si riferisce probabilmente al ruolo di Gesù come sorgente della chiesa, così come quando ci riferiamo al capo, alla sorgente di un fiume.

i. Affinché abbia il primato in ogni cosa: Riassume in maniera appropriata i versetti che si trovano in Colossesi 1:15-18.

i. Adam Clarke, su Colossesi 1:16-17, disse: “Presupponendo che San Paolo comprendesse l’espressione da lui utilizzata, è chiaro che considerava Gesù Cristo il vero Dio… A meno che non ci sia un modo segreto, che Dio non ha rivelato da nessuna parte, di comprendere i versetti 16 e 17, questi, presi nel loro significato sobrio e razionale, stabiliscono una volta per tutte questo importantissimo principio”.

j. Pienezza: Questa è la traduzione della parola in greco antico pleroma, un altro modo per dire che Gesù è veramente Dio.

i. La parola pienezza era “un termine tecnico riconosciuto in teologia, che denotava la totalità dei poteri e delle caratteristiche Divine.” (Lightfoot, citato in Robertson)

ii. Secondo Vincent, pleroma veniva usato in senso tecnico dagli insegnanti gnostici per esprime la somma totale dei poteri e delle caratteristiche divine. “Cristo veniva probabilmente classificato dagli insegnanti colossesi tra queste immagini inferiori del divino. Ne consegue l’importanza della dichiarazione che la totalità del divino dimora in Lui.” (Vincent)

iii. “Gli gnostici distribuivano i poteri divini tra vari esseri spirituali. Paolo li raggruppò tutti in Cristo, un’affermazione piena e decisa della divinità di Cristo.” (Robertson)

k. Perché è piaciuto al Padre di far abitare in Lui tutta la pienezza: La parola in greco antico per abitare viene usata qui con il significato di dimora permanente. Esiste un termine completamente diverso usato con l’accezione di dimora temporanea. Paolo voleva enfatizzare l’idea che Gesù non era Dio temporaneamente, ma permanentemente.

i. “Due parole imponenti; ‘pienezza’ è una parola significativa, esaustiva ed espressiva, e ‘tutta’, una piccola grande parola che include ogni cosa. Quando combinate nell’espressione ‘tutta la pienezza’, ci troviamo di fronte ad una ricchezza eccellente di significato.” (Spurgeon)

ii. Prima piacque al Padre di percuoterlo (Isaia 53:10); ora piace al Padre che in Lui dimori tutta la pienezza di Dio.

iii. “Dunque, la frase far abitare in Lui tutta la pienezza è il climax delle dichiarazioni precedenti – immagine di Dio, primogenito di ogni creatura, Creatore, eternamente preesistente, il Capo della Chiesa, il vincitore sulla morte, avente il primato in ogni cosa. Su questa sommità ci soffermiamo e, come Giovanni, contempliamo Cristo nella pienezza della Sua deità e la manifestazione di quella divina pienezza nella redenzione che è stata compiuta nei cieli.” (Vincent)

iv. La pienezza si trova in Gesù Cristo. Non in una chiesa, non nel sacerdozio, non in un edificio, non in un sacramento, non nei santi, non in un metodo o in un programma, ma in Gesù Cristo stesso. Si trova in Lui come “punto di distribuzione” – affinché coloro che desiderano più di Dio e tutto ciò che Egli è possano trovarlo in Gesù Cristo.

l. Di riconciliare a sé, per mezzo di lui, tutte le cose: L’opera espiatoria di Gesù è completa e di vasta portata. Tuttavia, non dovremmo usare Colossesi 1:20 a sostegno dell’universalismo.

m. Per mezzo del sangue della Sua croce: Notiamo nuovamente dove sia stata stabilita la pace. Non siamo noi a stabilire la nostra pace con Dio, ma Gesù ha provveduto la pace per noi attraverso la Sua opera sulla croce.

i. Nondimeno, non dovremmo considerare il sangue della Sua croce in maniera superstiziosa. Non è una pozione magica, né tantomeno il sangue di Gesù in senso letterale, come mezzo fisico di salvezza o purificazione. Se fosse stato così, allora i Suoi carnefici romani, imbrattati del Suo sangue, sarebbero stati salvati automaticamente e la quantità di molecole del sangue fisico di Gesù avrebbe limitato il numero di persone che avrebbero potuto essere salvate. Il sangue della Sua croce ci parla della morte fisica e reale di Gesù Cristo avvenuta al posto nostro, per noi, davanti a Dio. Quella morte, avvenuta letteralmente al posto nostro, ed il giudizio che ha portato letteralmente su di sé per noi è ciò che ci salva.

4. (21-23) Il modo in cui la grandezza di Gesù tocca le vite dei Colossesi.

E voi stessi, che un tempo eravate estranei e nemici nella mente con le vostre opere malvagie, ora vi ha riconciliati nel corpo della sua carne, mediante la morte, per farvi comparire davanti a sé santi, irreprensibili e senza colpa, se pure perseverate nella fede, essendo fondati e fermi, senza essere smossi dalla speranza dell’evangelo che voi avete udito e che è stato predicato ad ogni creatura che è sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono divenuto ministro.

a. Che un tempo eravate estranei: Il termine in greco antico tradotto con estranei (apellotriomenous) significa letteralmente “ceduto ad un altro proprietario”. Questo passaggio di proprietà, da Dio a Satana e sé stessi, ha influenzato sia la nostra mente che il nostro comportamento.

i. Facendo parte della razza di Adamo, siamo nati come estranei a Dio. Dopodiché, individualmente, ognuno di noi sceglie se accettare ed abbracciare quell’estraneità con le proprie opere malvagie.

ii. Un tempo eravate estranei: Questo significa che in Gesù non siamo piùestranei. La differenza tra un credente ed un non credente non è solamente il perdono; c’è un completo cambiamento di condizione.

b. Ora vi ha riconciliati: La risposta di Dio al problema dell’estraneità è la riconciliazione, introdotta dalla Sua opera sulla croce (riconciliati nel corpo della Sua carne, mediante la morte). Con l’opera della riconciliazione Dio non si è fermato a metà strada. Egli ci incontra lì dove siamo e ci invita ad accettare quest’opera.

i. Si potrebbero usare due modi differenti per comprendere il bisogno umano e la salvezza di Dio.

·Possiamo vedere Dio come un giudice e considerare noi stessi colpevoli davanti a Lui. Pertanto, abbiamo bisogno del perdono e della giustificazione.

·Possiamo vedere Dio come nostro amico e considerare noi stessi come coloro che hanno danneggiato la propria relazione con Lui. Pertanto, abbiamo bisogno di riconciliazione.

ii. Entrambe le affermazioni sono vere; nessuna delle due dovrebbe essere privilegiata a discapito dell’altra.

iii. La frase corpo della Sua carne è ridondante. Paolo voleva enfatizzare che tutto questo era la conseguenza di ciò che era successo ad un uomo reale su una croce reale.

c. Per farvi comparire davanti a sé santi, irreprensibili e senza colpa: Questo è il risultato dell’opera di riconciliazione compiuta da Dio. Queste parole, prese nel loro insieme, mostrano che in Gesù siamo puri e che non possiamo nemmeno essere più accusati giustamente di impurità.

i. L’idea di farci comparire santi e irreprensibili davanti a Dio può ricordare la terminologia utilizzata quando i sacerdoti ispezionavano i potenziali sacrifici. Veniamo fatti comparire davanti a Dio come sacrifici viventi.

ii. Il desiderio di essere salvati equivale al desiderio di essere resisanti, irreprensibili e senza colpa; non è semplicemente il desiderio di voler sfuggire alle fiamme dell’inferno alle proprie condizioni.

d. Se pure perseverate nella fede: Coloro che sono stati realmente riconciliati devono anche realmente perseverare. L’attenzione di Paolo si rivolge principalmente alla costanza nella verità del vangelo (perseverate nella fede… senza essere smossi dalla speranza dell’evangelo che voi avete udito). Per noi cristiani è importante perseverare in una condotta santa, ma non è per mezzo della nostra condotta che siamo salvati. Quindi, è ancora più importante che il cristiano perseveri nella verità dell’evangelo, essendo salvato per grazia mediante la fede.

i. “Se il vangelo insegna l’irrevocabile perseveranza dei santi, insegna anche che i santi sono coloro che perseverano fino alla fine – in Cristo. La perseveranza è la prova del nove della realtà.” (Bruce)

C. Quello che Paolo ha fatto per i Colossesi.

1. (24) Paolo soffre per amor loro.

Ora mi rallegro nelle mie sofferenze per voi, e a mia volta compio nella mia carne ciò che manca ancora alle afflizioni di Cristo per il suo corpo, che è la chiesa.

a. Ora mi rallegro nelle mie sofferenze per voi: Paolo scrisse queste parole da una prigione romana. Constatò come le sue sofferenze avessero contribuito al bene di altre persone, permettendogli di affermare che le sue sofferenze erano per i Colossesi ed altri cristiani.

b. E a mia volta compio nella carne ciò che manca ancora alle afflizioni di Cristo: La parola afflizioni usata qui non fa mai riferimento alla sofferenza di Gesù sulla croce. La maggior parte dei commentari sostiene che si tratta di un richiamo all’afflizione sopportata da Gesù nel ministero. Queste afflizioni non sono ancora complete, ed è come se Gesù “soffrisse” tuttora mentre ministra attraverso il Suo popolo.

i. “Paolo non attribuisce assolutamente alcun valore espiatorio alle proprie sofferenze per la chiesa.” (Robertson)

ii. “Il termine ‘afflizioni di Cristo’ non viene mai associato alla sofferenza redentrice di Gesù sulla croce. Allude, piuttosto, a quelle sofferenze ministeriali che Paolo sopporta come rappresentante di Gesù Cristo.” (Lane)

c. Per il Suo corpo, che è la chiesa: Paolo non soffriva per sé stesso, come farebbe un asceta. Al contrario, egli soffriva per il corpo di Cristo.

i. Gli asceti si concentrano sulla propria santità, sulla propria crescita spirituale e sulla propria perfezione. Paolo seguiva le impronte di Gesù e rivolgeva la propria attenzione agli altri. Trovava santità, crescita spirituale e maturità quando perseguiva queste cose per gli altri.

2. (25-26) Paolo è un servo della chiesa per rivelare il mistero di Dio che un tempo era nascosto.

Di cui sono stato fatto ministro, secondo l’incarico che Dio mi ha affidato per voi, per presentare compiutamente la parola di Dio, il mistero che fu tenuto nascosto per le passate età e generazioni, ma che ora è stato manifestato ai suoi santi.

a. Di cui sono stato fatto ministro: Paolo era un ministro – ovvero, un servo del corpo di Cristo, la chiesa. Egli non assunse tale posizione di propria iniziativa, ma secondo l’incarico che Dio gli aveva affidato. Fu Dio a porre Paolo in questa posizione, non Paolo stesso.

b. La parola di Dio, il mistero che fu tenuto nascosto: In senso biblico, un mistero non è un enigma. È invece una verità che può essere conosciuta solamente per rivelazione, non per intuizione. Ora può essere conosciuto, perché è stato manifestato ai Suoi santi.

i. Nascosto per le passate età e generazioni: Questo ci ricorda che ci sono aspetti del piano di Dio che non erano stati chiaramente rivelati nell’Antico Testamento. Il mistero specifico al quale Paolo si riferisce ha a che fare con vari aspetti dell’opera di Gesù nel Suo popolo, ma, in maniera più specifica, al piano della chiesa, ovvero di riunire in un solo corpo i giudei e i gentili che fanno parte del “tronco” d’Israele, ma non sono Israele.

ii. “Il mistero è questo: Dio aveva pianificato di concedere ai gentili gli stessi privilegi dei giudei e di rendere Suo popolo chi non era Suo popolo. Questo è ciò che Paolo intende con mistero – vedi Efesini 3:3, ecc.” (Clarke)

3. (27) Parte del mistero: Gesù dimora nei credenti.

Ai quali Dio ha voluto far conoscere quali siano le ricchezze della gloria di questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi, speranza di gloria.

a. Questo mistero fra i gentili, che è Cristo in voi: Il miracolo e la gloria della dimora permanente di Gesù nel credente non erano stati rivelati chiaramente nell’Antico Testamento, soprattutto per quanto riguarda il Suo dimorare nei gentili. Dunque, quest’aspetto dell’opera di Gesù nel Suo popolo era un mistero che rimase velato fino ai giorni di Gesù e degli apostoli.

i. “Questa per Paolo era la meraviglia più grande, il fatto che Dio avesse incluso i gentili nella propria grazia redentrice.” (Robertson)

ii. Questo significa che Dio ci viene rivelato in Gesù. I teologi classici usano il termine latino deus absconditus per riferirsi al “Dio nascosto”, il Dio che non può essere visto né conosciuto chiaramente. Il termine teologico latino deus revelatus si riferisce al “Dio rivelato”. In Gesù, il deus absconditus diviene il deus revelatus.

b. Cristo in voi, speranza di gloria: Questa è la speranza di gloria del cristiano. Non è il nostro duro lavoro o la nostra devozione a Dio, o la potenza della nostra stessa spiritualità. È, invece, la presenza di Gesù che dimora in noi: Cristo in voi.

4. (28-29) Il motto di Paolo riguardo al ministero apostolico.

Che noi annunziamo, ammonendo e ammaestrando ogni uomo in ogni sapienza, per presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù; e per questo mi affatico combattendo con la sua forza che opera in me con potenza.

a. Che noi annunziamo: Su questo si posava l’attenzione della predicazione di Paolo. Egli non predicava sé stesso, le proprie opinioni e nemmeno una marea di storie d’intrattenimento. Egli predicava Gesù.

b. Ammonendo e ammaestrando ogni uomo in ogni sapienza: Paolo voleva che l’intero vangelo raggiungesse tutto il mondo. Egli non si tirava indietro in nessuna delle due aree – il vangelo era per ogni uomo e Paolo lo presentava in ogni sapienza.

i. Alcuni traducono la parola ammonendo con “consigliando”. Il verbo nouthetountes in greco antico significa “impartire conoscenza”, “riversare sulla mente o sul cuore”. L’enfasi non è sull’influenzare solo l’intelletto, ma anche la volontà e il carattere. Descrive un mezzo basilare d’istruzione.

ii. L’opera di ammonimento – o di aiuto per trasferire conoscenza – era la passione di Paolo nel suo ministero (Atti 20:31). Fa parte anche del compito dei conduttori di chiesa (1 Tessalonicesi 5:12) e della chiesa in generale (Colossesi 3:16), purché siano in grado di ammonire gli altri (Romani 15:14).

c. Per presentare ogni uomo perfetto in Cristo Gesù: L’obiettivo del ministero di Paolo era quello di condurre le persone alla maturità in Cristo e non alla dipendenza da lui stesso.

i. “Dunque, la finalità di questa epistola e, in realtà, di tutta l’opera apostolica è ammonire e ammaestrare ogni uomo nella consapevolezza della perfezione in Cristo, perché da ciò scaturisce il perfezionamento di tutta la Chiesa.” (Morgan)

ii. Quest’opera era per ogni uomo. Al contrario, i falsi insegnanti a Colosse “credevano che la via per la salvezza fosse così complicata da poter essere compresa solo da pochi eletti, i quali crearono una sorta di aristocrazia spirituale.” (Vaughan)

d. Combattendo con la Sua forza che opera in me con potenza: L’opera di Paolo era alimentata dalla potente forza di Dio. Tuttavia, la forza di Dio nella vita di Paolo non significava che Paolo rimanesse con le mani in mano. Egli si affaticava con la Sua forza.

i. “La parola ‘lottando’ [combattendo], la cui radice può significare ‘competere nei giochi’, porta con sé l’idea – come spesse volte vediamo con Paolo – di una competizione atletica: Paolo non si mette all’opera senza entusiasmo, sperando vagamente che la grazia sopperisca alla sua pigrizia.” (Wright)

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