Galati 6 – Istruzioni finali
A. Responsabilità personale e aiutare gli altri.
1. (1) Ristabilire chi è stato colto nel peccato.
Fratelli, se uno è sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. Ma bada bene a te stesso, affinché non sii tentato anche tu.
a. Se uno è sorpreso in qualche fallo: Paolo riconosce che ci possano essere credenti in Galazia che siano stati sorpresi in qualche fallo. Egli non sembra estrometterlo dai fratelli, tuttavia, colui che ha commesso il fallo non dovrebbe mai restare in una tale condizione.
i. La formulazione della frase indica che Paolo non si riferisce a un peccatore determinato e caparbio. Al contrario, intende qualcuno che è caduto in un peccato e si è ritrovato intrappolato in una situazione nella quale non avrebbe mai pensato di trovarsi. Il significato originario della parola tradotta con “sorpreso” “contiene il concetto di caduta. Qui non è evidenziato l’aspetto intenzionale e pianificato del peccato, bensì l’elemento inconsapevole. L’efficacia della parola si riferisce a un errore piuttosto che a un misfatto, benché non si escluda il concetto di responsabilità.” (Ridderbos, citato in Morris)
ii. “Se esaminiamo attentamente le parole dell’Apostolo, capiamo che non si riferisce a mancanze o errori dottrinali, ma a sbagli di minore entità, in cui il credente viene sorpreso a causa della debolezza della carne. Questo spiega perché Paolo scelga di utilizzare il termine più morbido “colpa”. Per minimizzare ancor più la trasgressione, come se la volesse scusare del tutto e discolpare la persona che l’ha commessa, ne parla come se fosse stata “sorpresa”, sedotta dal diavolo e dalla carne… Questa frase di conforto un tempo mi salvò la vita.” (Lutero)
b. Rialzatelo: Colui che è stato sorpreso sia ora rialzato. Non deve essere ignorato, non deve essere giustificato, non deve essere distrutto; l’obiettivo è sempre di ristabilirlo.
i. Stott a proposito di “rialzatelo”: “Il verbo è al modo imperativo. Katartizo significa ‘mettere in ordine’ col fine di ‘ripristinare alla condizione precedente’… Era utilizzato nel linguaggio greco medico e si riferiva al riposizionamento di un osso fratturato o lussato. Viene anche utilizzato in Marco 1:19 per descrivere gli apostoli mentre ‘rammendavano’ le reti.”
ii. Questo lavoro di ristabilimento è spesso trascurato dalla chiesa. Tendiamo o a far finta che il peccato non sia mai avvenuto, o a reagire in modo troppo severo verso colui che ha peccato. L’equilibrio tra questi due estremi può essere raggiunto solo da quelli che sono spirituali. Dovrebbe risultare normale fare quello che Dio dice qui, ma non lo è. È fin troppo facile reagire al peccato di qualcuno con pettegolezzi, con un giudizio severo o con un’approvazione senza discernimento.
c. Rialzatelo con spirito di mansuetudine: Rialzare qualcuno deve essere sempre fatto con spirito di mansuetudine, avendo sempre bene in mente la nostra corruzione e le nostre debolezze. Coloro che si prendono cura di rialzare il trasgressore devono guardarsi dalla tentazione di inorgoglirsi e dalla stessa tentazione contro cui ha combattuto colui che è stato sorpreso.
i. “Che i ministri del Vangelo imparino da Paolo come comportarsi con coloro che hanno peccato. ‘Fratelli’, dice, ‘se uno è stato colto dal peccato, non aggravate il suo dolore, non rimproveratelo, non condannatelo, ma rialzatelo e con mansuetudine ristabilite la sua fede’” (Lutero)
ii. “Questo suggerisce che la mansuetudine nasce dalla consapevolezza delle nostre debolezze e predisposizione al peccato.” (Stott)
iii. L’influenza dei legalisti nel mezzo dei Galati rese questo monito necessario; “Niente rivela la malvagità del legalismo meglio del modo in cui i legalisti trattano coloro che hanno peccato.” (Wiersbe)
2. (2-5) Portare i pesi gli uni degli altri e il proprio fardello.
Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Se infatti qualcuno pensa di essere qualche cosa, non essendo nulla, inganna se stesso. Ora esamini ciascuno l’opera sua, e allora avrà ragione di vantarsi solamente di se stesso e non nei confronti degli altri. Ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
a. Portate i pesi gli uni degli altri: Parlando di colui che è stato sorpreso in qualche fallo, Paolo ha dipinto l’immagine di una persona che vien meno sotto un carico pesante. Qui amplia il concetto e incoraggia ogni cristiano a portare i pesi gli uni degli altri.
i. L’obiettivo non è “aspettarti che gli altri portino il tuo carico al posto tuo”. Questo è un atteggiamento egocentrico, che conduce sempre all’orgoglio, alla frustrazione, allo scoraggiamento e alla depressione. Al contrario, Dio ci indirizza sempre a focalizzarci sugli altri, e dice: “Portate i pesi gli uni degli altri”.
ii. Questo è un comando semplice da obbedire. Cerca un fratello o una sorella che stanno portando un peso, e aiutali a portarlo. Non è complicato e non ci vogliono un piano o un’infrastruttura complicati per farlo. Tutto quello che devi fare è cercare un peso da portare e portarlo.
iii. “Da notare il presupposto che sta dietro questo comando, e cioè che tutti abbiamo dei fardelli e che Dio non intende che li portiamo da soli.” (Stott)
b. E così adempirete la legge di Cristo: Portando i pesi gli uni degli altri, adempiamo la semplice legge di Cristo. Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Giovanni 13: 34-35).
i. In tutta questa lettera, Paolo si è battuto con i legalisti tra i cristiani della Galazia. Ed ora sferra un altro colpo. In parole povere, Paolo dice: “Vuoi adempiere la legge? Ecco la legge da adempiere: portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo.
ii. “In realtà, è come se Paolo stesse dicendo loro che, al posto di imporre la legge come un peso sulle spalle degli altri, dovrebbero invece aiutarli a portare i loro pesi, così da adempiere la legge di Cristo.” (Stott)
c. Se infatti qualcuno pensa di essere qualche cosa, non essendo nulla, inganna se stesso: L’orgoglio ci frena dal portare i pesi gli uni degli altri e quindi di adempiere la legge di Cristo. È spesso l’orgoglio che ci impedisce di ministrare gli uni agli altri come dovremmo.
i. Più che altro, l’orgoglio è concentrarsi su sé stessi e non dice per forza: “Sono migliore di te”, ma afferma: “Io sono più importante di te, per cui merito la mia attenzione e il mio amore più di quanto li meriti tu”. Invece, l’umiltà biblica dice: “Io non sono più importante di te. Lascia che ti aiuti con il tuo fardello e nei tuoi bisogni”.
ii. Quando qualcuno pensa di essere qualche cosa, non essendo nulla, ostacola il servizio reciproco anche nell’altra direzione. Per orgoglio, le persone si rifiutano di ricevere aiuto quando qualcun altro si offre di aiutarli a portare il loro fardello.
iii. È importante comprendere che Paolo scrive a ciascun cristiano quando dice: “non essendo nulla”. Qui Paolo non sottintende che alcuni cristiani siano qualche cosa e che altri non siano nulla, e che il problema sia in quelli che, non essendo nulla, pensano di essere qualche cosa. Al contrario, Paolo scrive con in mente lo stesso principio di Filippesi 2:3b-4: con umiltà, ciascuno di voi stimando gli altri più di sé stesso. Non cerchi ciascuno unicamente il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Se io ti considero più importante di me, e tu mi consideri più importante di te, succede una cosa meravigliosa: creiamo una comunità nella quale ciascuno è guardato con ammirazione e nessuno è disprezzato.
iv. “Il significato è più generale e dovrebbe quindi essere espresso in questo modo: ‘Poiché tutti gli uomini non sono nulla, colui che desidera sembrare qualcosa e si persuade di essere qualcuno, inganna sé stesso.’” (Calvino)
d. Inganna se stesso: Non ci sono molte cose che ci ingannano di più dell’orgoglio. Essere orgogliosi vuol dire essere ciechi: ciechi nei confronti del favore e dei doni ricevuti da Dio, ciechi nei confronti del nostro peccato e della nostra depravazione, ciechi nei confronti del buono che c’è negli altri, e ciechi dei confronti della follia del nostro egocentrismo.
i. Spesso ci arrabbiamo quando veniamo ingannati. Eppure, non prendiamo il pericolo di ingannare noi stessi così seriamente come dovremmo. Ingannare sé stessi è una questione grave e spaventosa. “La disgrazia di molti uomini è che, come i loro occhi, così le loro menti sono impostate in modo sbagliato: nessuno dei due guarda verso l’interno” (Trapp)
ii. Qui Paolo aiuta a spiegare l’inganno più grande del più grande degli impostori: Satana stesso. Se mai c’è stato qualcuno che pensa di essere qualche cosa, non essendo nulla, è Satana, prima e dopo la caduta. E se c’è qualcuno che inganna sé stesso, è sicuramente Satana, che opera in continuazione contro Dio illudendosi di poter trionfare un giorno.
e. Ora esamini ciascuno l’opera sua: Anziché ingannare noi stessi, dovremmo esaminare in maniera attenta e sobria le nostre opere davanti a Dio. Se ci rifiutiamo e proseguiamo ad ingannare noi stessi, possiamo pensare che le nostre opere siano approvare da Dio, quando in realtà non lo sono. Noi vogliamo che le nostre opere siano approvate da Dio, affinché nel giorno della nostra ricompensa possiamo vantar ci della nostra fatica (di sé stesso) e non della fatica degli altri.
i. C’è un altro aspetto che possiamo trarre da “vantarsi solamente di sé stesso”, e cioè che dovremmo provare gioia nel nostro cammino con il Signore, anziché sentirci spiritualmente superiori, perché magari qualcuno intorno a noi è stato sorpreso in qualche fallo.
f. Ciascuno, infatti, porterà il proprio fardello: La Bibbia dice che ci sarà un giorno in cui le nostre opere saranno esaminate davanti al Signore. Questo è il tribunale di Cristo descritto in Romani 14:10 e 2 Corinzi 5:10. In quel giorno ciascuno […] porterà il proprio fardello.
i. Non c’è contraddizione tra “portate i pesi gli uni degli altri” (Galati 6:2) e “ciascuno, infatti, porterà il proprio fardello” (Galati 6:5). In Galati 6:5, Paolo parla della nostra responsabilità finale davanti a Dio. In Galati 6:2, parla della necessità di prenderci cura degli altri nel corpo di Cristo.
ii. Inoltre, notiamo una differenza tra le parole usate da Paolo. La parola in greco tradotta con fardello era il termine comunemente usato per zaino. Invece, la parola tradotta con pesi in Galati 6:2 aveva il significato di “carichi gravosi”, quei carichi che sono più pesanti di quanto un uomo dovrebbe trasportare. In altre parole, ognuno di noi è responsabile della propria opera, ma possiamo comunque aiutare gli altri a portare i propri pesi.
3. (6-10) Fare del bene agli altri nella famiglia della fede.
Ora colui che è istruito nella parola, faccia parte di tutti i suoi beni a colui che lo istruisce. Non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà. Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. Or non veniamo meno nell’animo facendo il bene; se infatti non ci stanchiamo, raccoglieremo a suo tempo. Mentre dunque abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma principalmente a coloro della famiglia della fede.
a. Ora colui che è istruito nella parola, faccia parte di tutti i suoi beni a colui che lo istruisce: Nel contesto della cura reciproca, Paolo raccomanda a colui che è istruito di aiutare (faccia parte di tutti i suoi beni) colui che lo istruisce.
i. “Faccia parte di tutti i suoi beni” vuol dire senz’altro aiutare finanziariamente, ma non si limita a quello. “Tra le varie interpretazioni delle parole di Paolo, la più comune è anche la più plausibile: ‘faccia parte’ significa dare concretamente e ‘tutti i suoi beni’ significa beni materiali (Luca 1:53; 12:18-19; 16:25).” (Fung)
ii. Secondo Lightfoot il significato è questo: “Ho parlato di portare i pesi gli uni degli altri. Nello specifico, applicherei la regola così: provvedi ai bisogni materiali dei tuoi insegnanti in Cristo.”
iii. I passi della Scrittura come questo sono importanti, ma possono mettere a disagio i predicatori. Martin Lutero scrisse: “Tutti questi passaggi hanno lo scopo di giovare a noi ministri. Devo ammettere che non mi trovo proprio a mio agio a spiegare questi versetti. Mi fanno sembrare come se stessi parlando a mio vantaggio.”
iv. “Il giusto rapporto tra insegnante e allievo, o ministro e congregazione, è uno di koinonia, ‘comunione’ o ‘collaborazione’. A tal proposito Paolo scrive: “Ora colui che è istruito nella parola, faccia parte (koinoneito) di tutti i suoi beni a colui che lo istruisce.” (Stott) Non è un pagamento; è condivisione.
v. Qui si intravede un principio spirituale basilare, anche se a volte viene trascurato. Coloro che ti nutrono e ti benedicono spiritualmente dovrebbero essere sostenuti da te finanziariamente. Paolo ha ripetuto questo principio in molti altri passaggi. Se abbiamo seminato fra voi le cose spirituali, è forse gran cosa se mietiamo i vostri beni materiali? (1 Corinti 9:11). Così pure il Signore ha ordinato che coloro che annunziano l’evangelo, vivano dell’evangelo (1 Corinzi 9:14). Gli anziani che esercitano bene la presidenza siano reputati degni di un doppio onore, principalmente quelli che si affaticano nella parola e nell’insegnamento. (1 Timoteo 5:17). Se ti fidi di loro per la tua salute spirituale, dovresti fidarti di loro anche per l’amministrazione dei doni del popolo di Dio (Luca 16:11).
vi. “Mi sono spesso chiesto perché tutti gli apostoli abbiamo ripetuto questa richiesta con una frequenza così imbarazzante … Abbiamo capito perché sia così necessario insistere con l’esortazione di questo versetto. Quando Satana non riesce a reprimere la predicazione del vangelo con la forza, cerca di raggiungere il proprio scopo colpendo i ministri del vangelo con la povertà.” (Lutero)
b. Non v’ingannate, Dio non si può beffare, perché ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà: A coloro che sono riluttanti a condividere i propri beni con coloro che li istruiscono nella fede Paolo ricorda il principio di Dio del seminare e del mietere. Ciò che danno (faccia parte di tutti i suoi beni a colui che lo istruisce) non sono soldi buttati al vento; è come piantare dei semi per poi mietere il raccolto: ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà.
i. Considerare uno spreco la condivisione di tutti i suoi beni a colui che lo istruisce è beffarsi di Dio. È l’egoismo che deride la generosità di Dio verso coloro che sono generosi verso di Lui. Lutero lo disse con forza: “Stai attento, schernitore. Dio può rimandare la Sua punizione per un po’, ma ti troverà in tempo e ti punirà per aver disprezzato i Suoi servitori. Non puoi prenderti gioco di Dio. “
ii. Paolo non sostiene che il cristiano debba condividere tutti i suoi beni con colui che lo istruisce perché è una buona cosa per il ministro. Dovrebbe farlo perché condividere è una buona cosa per chi è istruito, e il principio del seminare e del raccogliere lo dimostra.
c. Perché colui che semina per la sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione, ma chi semina per lo Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna: Se vogliamo raccogliere dallo Spirito, non dovremmo esitare a seminare per lo Spirito con qualsiasi risorsa Dio ci abbia dato.
i. Il contadino raccoglie ciò che ha seminato. Se pianta grano, cresce grano. Allo stesso modo, se seminiamo per la nostra carne, questa aumenterà in dimensioni e forza.
ii. È vero che il contadino raccoglie quello che ha seminato, ma non esattamente. Il seme della mela non produce semplicemente altri semi di mela, ma altre mele con semi. Similmente, quando seminiamo per lo Spirito– anche con cose materiali – non raccogliamo necessariamente cose materiali, ma qualcosa di meglio: dallo Spirito raccogliamo vita eterna. Non condividiamo i nostri beni come se fosse un puro “investimento” o un sistema per fare soldi; comunque abbiamo completa fiducia del fatto che donando non si perde mai.
iii. Il contadino miete di più se ha seminato di più, e il rapporto tra ciò che semina e ciò che miete è esponenziale. Un contadino può piantare un seme di mela e col tempo raccogliere centinaia di mele.
d. Ciò che l’uomo semina, quello pure raccoglierà: L’applicazione di questo principio va oltre il dare sostentamento a insegnanti e ministri. Si applica in generale alla vita; ciò che otteniamo dalla vita è spesso ciò che investiamo in essa. Tuttavia, Paolo non sta promuovendo una specie di legge del karma spirituale che assicuri che facendo del bene si riceverà del bene, o che facendo del male si riceverà senz’altro del male. Se esistesse una legge spirituale così assoluta, sicuramente ci condannerebbe tutti. Invece, Paolo paragona semplicemente il principio della semina e della mietitura con il modo in cui gestiamo le nostre risorse davanti al Signore. Ha usato la stessa similitudine in 1 Corinzi 9:11 e 2 Corinzi 9:6-10.
i. Possiamo anche ingannare noi stessi e pensare di poter seminare poco e raccogliere tanto, ma non possiamo ingannare Dio e i risultati della nostra scarsa semina saranno evidenti.
e. Or non veniamo meno nell’animo facendo il bene; se infatti non ci stanchiamo, raccoglieremo a suo tempo: Nel gestire saggiamente le nostre risorse davanti a Dio secondo il principio della semina e della mietitura, dobbiamo essere pazienti, perché la raccolta non avviene immediatamente dopo la semina.
i. È facile stancarsi (se infatti non ci stanchiamo), ma anche pericoloso. Nel mondo antico, questo termine, oggi tradotto in “stancarsi”, era usato per definire il tipo di paura e stanchezza che una donna provava durante il travaglio, prima del parto. Si riferisce a un periodo in cui il lavoro è duro e doloroso, ma anche incompleto e non ricompensato. È facile stancarsi quando ci sentiamo così, ma è esattamente il momento in cui dobbiamo resistere e non venir meno nell’animo facendo il bene.
f. Mentre dunque abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma principalmente a coloro della famiglia della fede: Senza stancarci, cerchiamo di fare del bene con le risorse che abbiamo e di fare del bene a tutti, ma soprattutto a coloro che sono parte della famiglia di Dio.
i. Quando Paolo scrive “mentre dunque abbiamo l’opportunità” e “facciamo del bene”, chiaramente include sé stesso. In questo passaggio parla tanto a sé stesso quanto ai Galati. A causa del pericolo portato dai legalisti, l’opera di Paolo tra i Galati non era ancora stata “ricompensata”; quindi, aveva bisogno di ricordare anche a sé stesso che non doveva perdersi d’animo.
B. Parole finali.
1. (11) Introduzione al post-scriptum personale di Paolo.
Guardate con quali lettere grandi vi ho scritto di mia propria mano.
a. Vi ho scritto di mia propria mano: Secondo un’usanza tipica del mondo antico, Paolo era solito dettare le proprie lettere a un segretario. Ma spesso scriveva personalmente una breve parte alla fine, sia per autenticare la lettera sia per aggiungere un tocco personale.
i. Altri esempi di questo tipo di post-scriptum si trovano 1 Corinzi 16:21-24 (Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo) e Colossesi 4:18 (Il saluto è stato scritto di mia propria mano, di me, Paolo). Una delle ragioni per cui Paolo possa averlo fatto era per dimostrare che la lettera era stata scritta veramente da lui, come in 2 Tessalonicesi 3:17: Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo; e questo è un segno in ogni mia epistola; io scrivo così.
b. Guardate con quali lettere grandi vi ho scritto: Paolo fa notare di aver concluso la propria epistola con lettere grandi. Molti ipotizzano che sia dovuto al fatto che aveva problemi di vista e non riusciva a leggere o scrivere a caratteri piccoli. È tuttavia più probabile che abbia usato caratteri grandi semplicemente per dare enfasi al proprio messaggio.
i. “A questo punto l’Apostolo prende la penna dal proprio amanuense e scrive il paragrafo conclusivo di proprio pugno… Usa caratteri grandi e chiari affinché la sua calligrafia possa riflettere l’energia e la determinazione della sua anima.” (Lightfoot)
ii. “Molti commentatori ritengono che abbia usato intenzionalmente caratteri grandi, perché trattava i suoi lettori come bambini (li rimproverava per la loro immaturità spirituale ricorrendo ad una scrittura infantile) oppure semplicemente per dare maggiore enfasi […] proprio come oggi scriveremmo tutto in maiuscolo o sottolineato”. (Stott)
2. (12-13) Un ultimo commento sulle motivazioni dei legalisti tra i Galati.
Tutti quelli che vogliono far bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere unicamente per non essere perseguitati per la croce di Cristo. Infatti, neppure quelli stessi che sono circoncisi osservano la legge, ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare nella vostra carne.
a. Tutti quelli che vogliono far bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere: Paolo qua si riferisce ai cristiani legalisti che si erano infiltrati tra i Galati e scrive apertamente delle loro motivazioni: per far bella figura nella carne. Si adoperavano per far circoncidere i cristiani Gentili della Galazia, perché ciò gli avrebbe fatto fare bella figura, ma una bella figura nella carne.
i. I legalisti fingevano di essere motivati dalla premura verso coloro che tentavano di portare in sottomissione alla legge. Ma Paolo vide oltre la loro falsità e capì che la loro motivazione in realtà era molto egoistica, perché miravano semplicemente all’onore e alla gloria di una bella figura nella carne. Volevano che i Galati si facessero circoncidere così da poter vantarsi di averli sottomessi alla legge. Come Davide si era vantato dei duecento prepuzi dei Filistei che aveva ucciso, allo stesso modo questi legalisti pretendevano la lealtà di questi Gentili essenzialmente come un trofeo da esporre.
ii. “Costringono”è una parola importante. Non c’era niente di male nel fatto che un Gentile venisse circonciso, ma non c’era nulla di peggio che costringere un Gentile a farsi circoncidere, col falso pretesto che non avrebbe potuto essere giustificato davanti a Dio senza osservare la Legge di Mosè.
b. Unicamente per non essere perseguitati per la croce di Cristo: Al di là della gloria, la loro altra motivazione era evitare di essere perseguitati per la croce di Cristo. Se i legalisti avessero detto: “Siamo salvati esclusivamente per l’opera di Cristo sulla croce e non per la nostra obbedienza alla legge”, sarebbero stati perseguitati probabilmente da altri cristiani legalisti o dai Giudei. La loro riluttanza ad affrontare una tale pressione fece loro prendere posizione per delle false dottrine.
i. C’è anche un altro modo di considerare la situazione. Allineando il cristianesimo con il giudaismo, dando risalto alla circoncisione e alla Legge di Mosè, i sostenitori potevano evitare di essere perseguitati dai Romani. “Promuovere la circoncisione era un modo per allineare il nuovo movimento cristiano con il giudaismo, una religione che aveva ricevuto l’approvazione ufficiale romana, e che quindi evitava la persecuzione. I predicatori ai quali Paolo si opponeva probabilmente includevano anche la croce nella proclamazione del proprio messaggio, ma, aggiungendo la necessità della circoncisione, evitavano di essere perseguitati.” (Morris)
3. (14-15) Paolo espone le proprie motivazioni.
Ma quanto a me, non avvenga mai che io mi vanti all’infuori della croce del Signor nostro Gesù Cristo, per la quale il mondo è crocifisso a me e io al mondo. In Cristo Gesù, infatti, né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma l’essere una nuova creatura.
a. Non avvenga mai che io mi vanti all’infuori della croce del Signor nostro Gesù Cristo: A Paolo non importava niente della gloria proveniente dalla fama. Non gli importava niente della gloria proveniente dalle ricchezze. Non gli importava niente della gloria proveniente dallo status e dal potere tra gli uomini. Gli importava soltanto della gloria (che io mi vanti) della croce del Signor nostro Gesù Cristo.
i. È difficile per noi capire l’inusualità delle parole di Paolo. Per tutti coloro che avevano familiarità con la pratica della crocifissione, le parole “croce” e “vanti” non potevano stare nella stessa frase. I termini erano in diretta opposizione tra loro, poiché non esisteva metodo d’esecuzione più umiliante e più vergognoso della croce. Sembrava molto più logico vantarsi della bella figura nella carne, invece che della croce. Ma Paolo pensava e scriveva secondo la logica celeste, che sopravanza ogni sapienza terrena.
ii. “La parola crux era innominabile nella società romana benestante… anche quando qualcuno era condannato a morte mediante la crocifissione, la frase usata era una forma arcaica che serviva come una sorta di infausto eufemismo: arbori infelici suspendito, ossia ‘appeso all’albero malaugurato.’” (Bruce, citato in Morris) Paolo non solo fa uso di questa parola indicibile, anzi se ne vanta.
iii. “Che cosa intendeva, tuttavia, per ‘croce’? Naturalmente non gli importava nulla del pezzo di legno al quale erano stati inchiodati quelle mani e quei piedi benedetti, poiché ciò avrebbe rappresentato nient’altro che materialismo, qualcosa il cui ricordo è ormai svanito. Si riferisce alla dottrina gloriosa della giustificazione, quella giustificazione ottenuta per grazia mediante il sacrificio espiatorio di Gesù Cristo.” (Spurgeon)
b. Per la quale il mondo è crocifisso a me e io al mondo: In Galati 5:24, Paolo ha affermato di aver crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze. Ora, insieme alla carne, inchioda anche il mondo alla croce e si considera morto ad esso. Il mondo, essendo morto, non avrebbe potuto avere alcuna influenza su Paolo; Paolo, essendo morto al mondo, non avrebbe potuto reagire all’influenza che esso aveva su di lui.
i. Il mondo, come inteso qui da Paolo, non è il pianeta Terra né l’umanità in sé (che Dio stesso ama, Giovanni 3:16). Invece, si riferisce a quella parte dell’umanità peccatrice, unita in ribellione contro Dio.
ii. Non c’è niente di più mondano che cercare di fare bella figura nella carne. Quando viviamo per la gloria che deriva dalla fama, dalle ricchezze, dallo status sociale, o dal potere fra gli uomini, siamo molto vivi al mondo e il mondo è molto vivo a noi.
iii. Paolo e il mondo sarebbero d’accordo su una cosa: a nessuno dei due piaceva l’altro. “‘Il mondo è crocifisso a me’ significa che io condanno il mondo. ‘Io sono crocifisso al mondo’ significa che il mondo a sua volta condanna me.” (Lutero) “Io e il mondo facciamo lo stesso: al mondo non importa nulla di me, e a me non importa nulla del mondo.” (Trapp)
iv. “Vivere per servire gli uomini è una cosa, vivere per benedirli è un’altra: ed è questo che faremo, con l’aiuto di Dio, facendo sacrifici per il loro bene. Ma temere gli uomini, chiedere il loro permesso prima di pensare, chiedere che cosa dobbiamo dire e come lo dobbiamo dire… quella è una bassezza morale che non possiamo tollerare. Per la grazia di Dio, non siamo caduti così in basso, e mai lo faremo.” (Spurgeon)
c. In Cristo Gesù, infatti, né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma l’essere una nuova creatura: Senza dubbio, Paolo sapeva che i cristiani avevano uno standard morale di vita (descritto in passi come Galati 5:19-21). Ma ciò che veramente importa non è quello che facciamo per quanto riguarda l’osservanza della legge, soprattutto i rituali, ma è ciò che Dio ha fatto in noi: ossia ha fatto di ognuno di noi una nuova creatura.
i. Per i legalisti infiltratisi tra i cristiani della Galazia, la circoncisione era di vitale importanza, poiché segnava l’iniziazione a una vita di sottomissione alla Legge di Mosè. Benché fosse importante per i legalisti, Paolo sapeva che la circoncisione non aveva alcuna importanza (né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore). Se sei circonciso, ma non sei una nuova creatura, non appartieni a Gesù. Se non sei circonciso, ma sei una nuova creatura, appartieni a Gesù.
ii. Non siamo noi a fare di noi stessi una nuova creatura; è Dio che ci trasforma. Fondamentalmente, il cristianesimo è qualcosa che Dio fa dentro di noi, non qualcosa che noi facciamo per Dio. Questa frase definisce la differenza tra il sistema della grazia e quello della legge.
4. (16) Una benedizione per coloro che camminano nella verità di Dio.
E su tutti quelli che cammineranno secondo questa regola sia pace e misericordia, e così pure sull’Israele di Dio.
a. E su tutti quelli che cammineranno secondo questa regola: Lightfoot commenta così la parola “regola”, traduzione del termine greco kanon: “La riga del carpentiere o del geometra per mezzo della quale si traccia una direzione”. C’è una regola per la vita cristiana, rivelata dalla Parola di Dio; non ce la inventiamo in corso d’opera. Siamo chiamati a misurare la nostra vita secondo questa regola.
b. Sia pace e misericordia: Proprio come Paolo fu disposto a maledire coloro che insegnavano false dottrine (Galati 1:8-9), allo stesso modo fu disposto a benedire coloro che camminano secondo questa regola. Questi sono il vero Israele di Dio, i discendenti di Abrahamo secondo la fede.
5. (17-18) Parole conclusive.
Del resto nessuno mi dia molestia, perché io porto nel mio corpo il contrassegno del Signore Gesù. Fratelli, la grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito. Amen.
a. Io porto nel mio corpo il contrassegno del Signore Gesù: Paolo scrive come se avesse personalmente sofferto per Gesù e portasse nel proprio corpo le cicatrici di tali sofferenze. Avendo sofferto in tal modo, può dire: “del resto nessuno mi dia molestia”, cioè è inutile che qualcuno ci provi, avendo già sopportato il peggio.
i. In 2 Corinzi 11:23-25, Paolo descrive la sofferenza fisica da lui subita per amore di Gesù. Quanto sofferto era abbastanza da lasciare delle cicatrici, il contrassegno del Signore Gesù.
ii. Alcuni pensano che, quando Paolo scrive “nessuno mi dia molestia”, stia dicendo ai cristiani della Galazia: “Smettetela di arrecarmi molestia perdendo tempo con queste false dottrine – ho già sofferto abbastanza”.
b. Il contrassegno del Signore Gesù: Alcuni hanno inteso nelle parole di Paolo il fenomeno delle stigmate, che si dice siano delle ferite sul corpo simili a quelle di Gesù, che appaiono sulle mani, sui piedi, sul costato, o sulla testa, come risultato di un’intensa identificazione mistica col Signore. Tale interpretazione fa dire al testo più di quanto la semplicità delle parole lasci intendere, in modo tale da giustificare un malsano misticismo.
i. Il contrassegno del Signore Gesù non è rappresentato da ferite simili alle sue, ma è un contrassegno che identifica – o addirittura “marchia” – Paolo come un seguace di Gesù. Nel mondo antico, gli schiavi venivano marchiati con il nome del proprio padrone. “Spesso un padrone contrassegnava i propri schiavi con un marchio che dimostrava la loro appartenenza a lui. Molto probabilmente Paolo intendeva dire che le cicatrici di quanto aveva sofferto per Cristo erano il marchio che lo identificava come schiavo di Cristo”. (Barclay)
ii. La pratica del marchiare era conosciuta anche nel mondo militare: “Ci sono esempi documentati di soldati che si marchiavano il nome del proprio generale come segno della loro assoluta devozione alla causa.” (Rendall) Paolo affermava che il suo contrassegno era il suo “marchio” di lealtà.
iii. “Come nelle guerre terrene i generali riconoscono il coraggio di un soldato con onorificenze, così Cristo, nostro condottiero, ha i Suoi contrassegni, dei quali fa buon uso decorando e onorando alcuni dei Suoi seguaci. Questi marchi, tuttavia, sono molto diversi dagli altri, perché hanno la natura della croce, e agli occhi del mondo sono vergognosi… ma agli occhi di Dio e degli angeli superano tutti gli onori del mondo.” (Calvino)
c. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito: Paolo non potrebbe desiderare niente di meglio per i Galati che questo. Se ciò si realizzasse, camminerebbero in una relazione di grazia con Dio, e non in una relazione basata sulla legge e sulla propria bravura che li aveva portati in una situazione di grande pericolo. Non ci può essere conclusione più adeguata alla lettera né una preghiera più appropriata per tutte le nostre vite.
i. Dopo la tempesta, la tensione e l’intensità di questa lettera giunge la pace della benedizione. Paolo ha discusso e rimproverato e persuaso, ma la sua ultima parola è GRAZIA, la sola parola che per lui contava davvero.” (Barclay)
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